13 Giugno 2017

Cercasi decreto per l’agricoltura sociale

di Luigi Scappini
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La natura aperta dell’articolo 2135 cod. civ., nella parte relativa alle attività connesse che si affiancano a quelle agricole ex se, lascia spazio a innesti che si sono susseguiti nel tempo, a tal punto da snaturare quasi la fisionomia dell’imprenditore agricolo, tra i quali con soddisfazione un paio di anni orsono si è aggiunto quello relativo all’agricoltura sociale a mezzo della L. 141/2015.

L’interesse e la soddisfazione con il quale è stata accolta questa possibilità per l’impresa agricola di svolgere attività dedite al sociale deriva dalla predisposizione stessa del mondo agricolo per il sociale.

Si pensi agli usi civici, attualmente quasi in disuso ma che in passato rappresentavano uno strumento ampiamente utilizzato, disciplinati dalla L. 1766/1927 e consistenti, per l’appunto, nel diritto riconosciuto alla comunità, insediata in forma organizzata su di un determinato territorio, di sfruttare il fondo, i boschi e le acque.

Si pensi ancora all’ampio utilizzo che in passato si è fatto, sempre nel tessuto rurale, delle comunioni tacite familiari che si caratterizzano per la comunanza di tetto e di mensa.

Ecco che allora si comprende come il sociale ben si innesta in un tessuto in cui, alla luce anche della varietà di attività esercitabili, l’accoglienza è sempre stata un cardine portante del sistema, a tal punto, che se si allarga l’orizzonte e si ragiona in termini comunitari: ci si rende conto come la L. 141/2015 non rappresenta che lo sbocco naturale di un sistema legislativo coerente con il dettato comunitario, infatti, ad esempio, il CESE (Comitato Economico e Sociale Europea), interpellato sul tema, ha avuto modo di individuare gli obiettivi dell’agricoltura sociale consistenti tra l’altro nel “creare le condizioni, all’interno dell’azienda agricola, che consentano a persone con esigenze specifiche di prendere parte alle attività quotidiane di una fattoria, al fine di assicurare lo sviluppo e la realizzazione individuale e di migliorare il loro benessere”.

È in tale contesto generale, sia di interesse al settore, sia di necessità di una legiferazione precisa che stabilisca cosa è cosa non è agricoltura sociale, che, dopo quasi un lustro di gestazione è stata accolta con entusiasmo la L. 141/2015 rubricata “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, tuttavia, come spesso succede, alle parole non sono seguiti i fatti e quindi tale norma è ancora in attesa, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto Mipaaf con cui devono essere individuati requisiti minimi e modalità inerenti le attività esercitabili per essere inquadrati come agricoltura sociale.

Il decreto si rende necessario anche per meglio inquadrare e delimitare la poliedricità dell’impresa agricola sociale che scaturisce dalla definizione offerta con l’articolo 1, comma 1, ai sensi del quale le attività, che possono essere svolte in forma individuale, collettiva, nonché ovviamente dalle cooperative sociali, sono:

  • di inserimento socio-lavorativo di persone disabili, lavoratori svantaggiati, nonché minori, in età lavorativa, inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale;
  • prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali ai fini della promozione e realizzazione di azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana;
  • prestazioni a supporto e in affiancamento a terapie mediche, psicologiche e riabilitative, a scopo terapeutico, esercitate sfruttando animali e la coltivazione delle piante;
  • progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia delle biodiversità e alla conoscenza del territorio, utilizzando le fattorie sociali e quelle didattiche.

È di tutta evidenza come, in assenza di un decreto attuativo, l’ampiezza della previsione presta il fianco a un utilizzo distorto di quella che dovrebbe essere un’attività di eccellenza meritevole, come del resto giustamente previsto, di un trattamento fiscale di favore, in ragione della sua equiparazione alle attività connesse.

Ed è proprio su questo aspetto che il decreto dovrà individuare eventuali limitazioni nel considerare come connesse le suddette attività, alla luce della circostanza per cui, come noto, la connessione è strettamente legata a un concetto di prevalenza.

Infatti, l’imprenditore agricolo che volesse dotarsi di un’anima sociale, potrebbe farlo, da un lato, attraverso attività connesse a indirizzo sociale, da svolgersi sotto il cappello imperante della prevalenza e, dall’altro, introducendo attività sociali, socio-sanitarie, educative e di supporto all’inserimento sociale, da svolgersi senza doversi confrontare con il parametro della prevalenza atteso il mero rimando all’articolo 2135 cod. civ. e non al comma 3 del medesimo articolo.

È di tutta evidenza come sia ormai improcrastinabile l’emanazione di un decreto che nella realtà dei fatti avrebbe dovuto essere già pronto al momento dell’emanazione della norma guida emanata a seguito di una capillare indagine conoscitiva.

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