2 Febbraio 2016

Certificati verdi non più “esentasse”

di Luigi Scappini
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I certificati verdi sono stati introdotti nel nostro ordinamento per mezzo del D.Lgs. n. 79/1999, noto anche come decreto Bersani, andando a sostituire il precedente sistema noto come convenzioni CIP 6/92.

Ai sensi dell’art.11 del D.Lgs. richiamato “Al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a decorrere dall’anno 2001 gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto”.

In altri termini, i produttori o importatori di energia “sporca o convenzionale” hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale una percentuale di energia pulita che originariamente era stata individuata nel 2% dell’energia derivante da fonte convenzionale eccedente i 100 GWh.

I produttori/importatori di energia convenzionale hanno 3 differenti alternative per adempiere all’obbligo di immissione di energia verde:

  1. acquistare i diritti;
  2. creare impianti FER (Fonti di energia rinnovabile);
  3. importare energia rinnovabile da soggetti esteri, a condizione che i Paesi di provenienza, adottino uguali sistemi di incentivazione basati sulla reciprocità.

I diritti richiamati, vengono definiti dall’articolo 5 del D.M. 11 novembre 1999 come la “certificazione di produzione da fonti rinnovabili”.

I certificati verdi rappresentano una quota di energia pulita che deve essere immessa nel mercato interno, con la conseguenza che gli stessi sono utilizzabili esclusivamente in ambito nazionale.

Essi vengono emessi dal GSE in funzione della quota di energia pulita prodotta e la loro erogazione può avvenire, alternativamente, a preventivo o consuntivo.

Essi si pongono in alternativa con le tariffe incentivanti e quelle omnicomprensive.

Da un punto di vista giuridico, in un primo momento, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 46/E/2007, poiché definiva i certificati verdi quali titoli, aveva precisato come “il termine titolo … non sottintende alcuna qualificazione giuridica predefinita”, senza peraltro concludere il ragionamento addivenendo ad una qualificazione alternativa degli stessi. In definitiva pare che l’utilizzo del termine titolo, almeno in quel contesto, avesse più un significato gergale che tecnico.

Successivamente, con la circolare n. 32/E/2009, l’Agenzia, in riferimento ai soggetti tenuti ad avere certificati verdi per obbligo di legge, ha ulteriormente circoscritto la loro natura, definendoli quali “beni immateriali strumentali”, circostanza non di poco conto se si considerano le conseguenze derivanti sia da un punto di vista della loro allocazione contabile sia in merito al loro trattamento fiscale ai fini dell’imposizione diretta, tema quest’ultimo che qui non compete.

Da un punto di vista fiscale, in passato i certificati verdi rappresentavano un contributo che, per gli imprenditori agricoli, poteva considerarsi esente da imposizione, infatti, la richiamata circolare 32/E/2009 aveva affermato che la loro cessione sul mercato non generava componenti positivi tassabili, bensì elementi reddituali assorbiti dal reddito determinato catastalmente nel caso di rispetto della prevalenza nella produzione di energia da biomasse. In caso di mancato rispetto, l’eccedenza concorreva quale plusvalenza ex articolo 86 Tuir alla formazione di un reddito di impresa, con tutte le conseguenze che ne derivavano.

Con la riscrittura della disciplina fiscale applicabile alle agroenergie effettuata con l’articolo 1, comma 910, L. 208/2015, la Legge di stabilità per il 2016, cambia anche la fiscalità per la cessione di certificati verdi.

A decorrere dal 1° gennaio 2016, infatti, non è più prevista la possibilità per l’imprenditore agricolo di essere “virtuoso” e di rispettare il principio della prevalenza, ma è prevista una franchigia entro la quale si determina un reddito agrario e per l’eccedenza, invece, si determina un reddito forfettario in misura pari al 25% del volume d’affari generato dalla cessione dell’energia, con l’esclusione dal conteggio della quota incentivo.

Abbiamo visto che il certificato verde non è una quota incentivo con la conseguenza che essa dovrà essere portata a tassazione per la parte riferibile all’eccedenza, rispetto alla franchigia, di energia prodotta.

La domanda è secondo quali regole deve essere portata a tassazione. A parere nostro, la quota di cessione di certificati verdi imputabile all’eccedenza di energia prodotta, dovrà essere tassata in via forfetaria applicando la percentuale del 25%. Tale impostazione si ritiene coerente rispetto a quanto detto in passato e anche in ragione di un silenzio normativo che di fatto non qualifica il reddito prodotto dall’imprenditore agricolo in misura eccedente essendo la norma, rispetto ad esempio alle attività ex articolo 56-bis Tuir, fuori sistema.