23 Ottobre 2017

Il certificato fiscale attesta lo status di beneficiario effettivo?

di Marco Bargagli
Scarica in PDF

La clausola del “beneficiario effettivo” è uno strumento che ha lo scopo di contrastare il fenomeno elusivo denominato “treaty shopping” (“abuso di Convenzioni”) consistente nell’ottenimento, da parte del contribuente fiscalmente residente in uno Stato contraente, di un indebito risparmio fiscale attraverso l’applicazione di un regime convenzionale non spettante.

Lo schema evasivo, che può riguardare il pagamento di interessi, dividendi o canoni (royalties) da parte di un soggetto residente in Italia, nei confronti di un soggetto non residente, viene attuato mediante l’interposizione di determinate società, denominate conduit company, con l’obiettivo di veicolare i flussi di reddito dal Paese della fonte al beneficiario finale, attraverso un percorso che consenta lo sfruttamento delle migliori condizioni fiscali.

Lo strumento di contrasto a tale fenomeno è contenuto nei trattati internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi ed è costituito dalla cosiddetta clausola del beneficiario effettivo (c.d. beneficial owner). L’assenza di una sua univoca definizione, tuttavia, ha spesso creato incertezze applicative e conseguenti aspri contenziosi tra Amministrazione finanziaria e contribuente.

Ai fini di accertare lo status di beneficiario effettivo, sembrerebbe assumere particolare rilievo il certificato fiscale esibito da parte del soggetto estero che percepisce i flussi reddituali.

Infatti, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, per provare la qualifica di beneficiario effettivo necessaria per ottenere l’esenzione da ritenuta sui flussi reddituali, sarebbe sufficiente esibire la certificazione di residenza nello Stato comunitario. Infatti, eventuali oneri aggiuntivi richiesti dall’Amministrazione finanziaria italiana non possono essere ritenuti obbligatori, compresa la prova sulla data certa della documentazione.

Con la sentenza n. 28 del 4 maggio 2012 della Commissione Tributaria Regionale di Torino, il giudice del gravame ha affermato che: “in pratica (…) il soggetto italiano può limitarsi ad assumere la certificazione fiscale rilasciata dal Paese estero quale valido elemento di prova della sussistenza in capo al soggetto estero dei requisiti richiesti dalle medesime disposizioni commerciali per beneficiare di regimi fiscali di favore”.

Sulla base di un differente approccio, basato essenzialmente sull’imputazione reddituale dei redditi percepiti, nella sentenza n. 2897 del 29 giugno 2015 della Commissione Tributaria Regionale di Milano, (sezione distaccata di Brescia), è stato affermato che per accertare lo status di beneficiario effettivo, occorre dimostrare che:

  • il reddito venga imputato al soggetto non residente secondo la Legge fiscale dello Stato in cui esso risiede;
  • il soggetto cui il reddito è imputato non deve avere alcun obbligo, legale e contrattuale, di trasferire il reddito ad altro soggetto, sulla base di un’obbligazione originariamente collegata al reddito ricevuto.

Anche in tale circostanza, il fatto che il reddito sia imputato al soggetto non residente può facilmente essere accertato mediante la ricezione del certificato di residenza convenzionale rilasciato dalle autorità fiscali dello Stato di residenza del beneficiario effettivo.

Tale concetto è stato ribadito nella sentenza n. 9819/1/2015 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, nella quale è stato affermato che per provare la qualifica di beneficiario effettivo per l’esenzione da ritenuta sugli interessi ai sensi dell’articolo 26-quater del D.P.R. 600/1973 e della direttiva 2003/49/CE è sufficiente esibire la certificazione di residenza nello Stato comunitario.

In netta controtendenza, appare la recente sentenza n. 5986 del 17 novembre 2016, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che si è pronunciata sullo status di beneficiario effettivo di flussi reddituali corrisposti nei confronti di un soggetto non residente (royalties e dividendi).

Nello specifico, una società di capitali italiana aveva:

  • erogato, nei confronti di una società del Gruppo, royalties per la concessione in utilizzo di un marchio, applicando la ritenuta convenzionale del 5% (articolo 12 del modello OCSE di Convenzione Italia -Olanda);
  • pagato dividendi alla casa madre lussemburghese, azzerando la ritenuta alla fonte in applicazione dell’articolo 27-bis, comma 3, del D.P.R. 600/1973, che ha recepito le disposizioni della Direttiva comunitaria madre-figlia.

L’Agenzia delle Entrate aveva disapplicato i benefici convenzionali, sostenendo che i soggetti non residenti non erano i beneficiari effettivi del reddito.

Ciò posto, il giudice tributario ha accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria rilevando che:

  • i generici elementi indicati nelle fatture emesse dalla holding olandese non avevano consentito di identificare il marchio concesso in licenza e, inoltre, i verificatori avevano idoneamente dimostrato che il soggetto non residente operava quale mero interposto, non essendo il beneficiario effettivo dei flussi reddituali a nulla rilevando, in tal senso, l’esibizione della certificazione fiscale rilasciata dall’Amministrazione estera;
  • con riguardo al pagamento dei dividendi, non è stato adeguatamente dimostrato che la partecipazione non era detenuta dalla casa madre lussemburghese con lo scopo di beneficiare del regime di esenzione previsto dalla Direttiva madre-figlia.

In merito a tale ultimo aspetto il legislatore aveva introdotto, nel nostro ordinamento, una disposizione antielusiva specifica contenuta nell’articolo 27-bis, comma 5, del D.P.R. 600/1973, il quale disponeva che quando la società “madre”, risultava controllata direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno degli Stati dell’Unione europea, il regime di esonero dall’applicazione della ritenuta  a titolo d’imposta si applicava a condizione che la società comunitaria avesse dimostrato di non detenere la partecipazione allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime di esenzione ponendo, quindi, l’onere della prova a carico del soggetto estero che percepiva i dividendi, che doveva dimostrare le valide ragioni economiche sottostanti alla detenzione della partecipazione nella società figlia italiana.

Successivamente, dalle remunerazioni corrisposte a partire dal 1° gennaio 2016, il comma 5 del citato articolo 27-bis del D.P.R. 600/1973 è stato sostituito dall’articolo 26, comma 2, lett. b) della Legge 122/2016.

Quindi, attualmente, in attuazione della direttiva comunitaria 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015, le disposizioni antielusive in tema di dividendi sono previste nel nostro ordinamento con l’eventuale applicazione dell’articolo 10-bis della Legge 212/2000 (recante la nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale).

L’imposizione dei soggetti residenti e non residenti