Cessione comunitaria e partita Iva del cliente
di Roberto CurcuEra il giorno 7 dicembre 2018 e sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea fu pubblicata la Direttiva 1910/2018, che modificava in alcuni aspetti la Direttiva Iva 112/2006, nella parte riguardante gli scambi internazionali di beni.
Il legislatore comunitario lasciò agli Stati membri tempo fino al 31 dicembre 2019 per recepire tale direttiva, ritenendo che un anno dovesse essere sufficiente perché ciascun Paese aderente all’Unione adeguasse la propria normativa interna.
Dopo aver subito pure la minaccia di una procedura di infrazione, lo Stato italiano, alle soglie del biennio di ritardo, ha recepito la Direttiva con D.Lgs. 192/2021, che è entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione.
L’urgenza nella sua entrata in vigore, a questo punto, deriva dal fatto che se fosse stato concesso l’ordinario termine di 15 giorni si sarebbe oltrepassata la soglia critica dei 3 anni dalla data di pubblicazione della Direttiva!
Detto ciò, la Direttiva disciplina in particolare alcuni aspetti relativi agli scambi intracomunitari, tra cui i requisiti per la non imponibilità delle cessioni comunitarie, il funzionamento delle operazioni a catena, ed il cosiddetto contratto di call-off stock.
Per quanto riguarda la rilevanza degli errori sui modelli Intrastat ai fini della non imponibilità della cessione comunitaria, con l’articolo pubblicato lo scorso 2 dicembre abbiamo evidenziato che il recepimento “frettoloso” potrà creare qualche problema se non saranno diramate subito istruzioni chiare e precise.
Un ulteriore requisito richiesto dalla Direttiva per far sì che una cessione intracomunitaria possa usufruire del regime di esenzione (non imponibilità) da Iva è che il cessionario sia identificato in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto ha inizio ed abbia comunicato al cedente tale numero di identificazione.
Tale modifica fu resa necessaria in quanto la giurisprudenza della Corte di Giustizia aveva evidenziato come, a legislazione vigente fino al 31.12.2019, il requisito del possesso di un numero di partita Iva comunitaria non era elemento necessario per garantire l’esenzione alla cessione comunitaria.
Il legislatore nazionale, come spesso accade, non modificò la propria normativa, ed anche dopo le sentenze della Corte di Giustizia restò in vita l’articolo 50, comma 1, D.L. 331/1993, che subordinava comunque la non imponibilità alla comunicazione da parte del cessionario di un numero attribuito dallo Stato di appartenenza. Ora, dopo il recepimento, è chiesto, come previsto dalla normativa comunitaria, che per applicare il regime di non imponibilità alla cessione comunitaria, il cessionario abbia comunicato al cedente un numero di identificazione Iva attribuito da qualunque Paese diverso dall’Italia.
In sostanza, se prima del 2020 il cedente italiano che avesse effettuato una cessione comunitaria a soggetto non identificato in altro Stato membro avrebbe potuto dimostrare in altri modi che il cliente era comunque soggetto passivo, e “salvare” il regime di non imponibilità chiedendo la disapplicazione della normativa italiana per incompatibilità col diritto comunitario, ora che la nuova normativa comunitaria è in vigore ed è stata recepita nella legislazione nazionale, saranno pochi gli elementi che potranno giustificare tale mancanza.
La normativa prevede il cessionario deve comunicare al cedente il proprio numero di identificazione.
La Commissione Europea, nelle proprie linee guida, precisa che “le modalità di comunicazione del numero di identificazione Iva tra le parti contraenti non sono specificate nel testo giuridico. Tali modalità di condivisione sono quindi lasciate alla discrezione delle parti contraenti e non sono soggette ad alcun requisito formale (uso di un documento specifico, ad esempio)”. Pertanto, “dal fatto che il cedente abbia indicato il numero di identificazione Iva del proprio acquirente nella fattura si può desumere che l’acquirente abbia comunicato il proprio numero di identificazione Iva al cedente”.
Si segnala, infine, che oltre ad aver ricevuto comunicazione del numero di identificazione, è necessario verificare che lo stesso sia validamente iscritto negli archivi Vies.
Su questo punto è quanto mai opportuno che il numero di identificazione del cessionario venga controllato sull’archivio Vies del sito della Commissione Europea, e venga conservata traccia dell’avvenuto controllo e delle date in cui lo stesso è stato effettuato.
Molte volte, infatti, l’archivio viene aggiornato retroattivamente, e non è raro imbattersi in casi in cui alcuni numeri identificativi risultano cessati in data antecedente rispetto a quando è stato effettuato l’ultimo controllo con esito positivo.