Cessione d’azienda con patto di riservato dominio
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un’azienda, o di un ramo di essa, è frequente l’inserimento di clausole finalizzate alla dilazione del corrispettivo pattuito per il trasferimento stesso. Più nel dettaglio, la predetta dilazione del pagamento si configura normalmente con una delle due seguenti fattispecie:
- pagamento di rate di importo fisso a scadenze predeterminate, sovente garantite da emissioni di cambiali o pagherò cambiari;
- pagamento di rate ad importo variabile, la cui quantificazione è espressa in percentuale al fatturato che il cessionario realizzerà per effetto dell’acquisizione dell’azienda.
In entrambe le ipotesi, si pone ovviamente il problema di prevedere apposite forme di garanzia per il cedente affinché sia assicurata la corresponsione del prezzo anche dopo la stipula del contratto di cessione. In tale ambito, un particolare strumento che può essere utilizzato e che non presenta per l’acquirente particolari oneri o spese è rappresentato dall’apposizione nel contratto di un’apposita clausola che preveda il trasferimento di proprietà dell’azienda solo con l’integrale pagamento del prezzo, ovvero con il saldo dell’ultima rata di prezzo pattuita. L’art. 1523 del Codice Civile prevede testualmente che “nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”. Si tratta, in sostanza, di una tipica ipotesi di vendita obbligatoria in cui l’effetto traslativo si realizza in un momento successivo a quello della conclusione del contratto, mentre si realizzano subito gli effetti obbligatori. L’obbligazione consistente nella consegna dell’azienda avviene quindi prima del passaggio della proprietà, la quale avviene solo all’integrale pagamento del prezzo, mentre i rischi sono assunti dal compratore sin dal momento della consegna.
L’inserimento nel contratto della succitata clausola non risolve però l’ulteriore problema che si potrebbe creare qualora il cessionario d’azienda, in possesso dei beni aziendali, provveda all’alienazione di detti beni a terzi, neutralizzando in tal modo la garanzia reale in danno del cedente. A tale eventualità soccorre il successivo art. 1524, co. 2, del Codice Civile, contenente una disposizione che consente di rendere opponibile ai terzi acquirenti la clausola di riservato dominio, a condizione di trascrivere il patto in apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si trova il bene di valore superiore a Euro 15,49. Il patto di riservato dominio, quindi, può essere utilizzato soprattutto in quelle ipotesi in cui nel patrimonio dell’azienda ceduta siano ricompresi beni strumentali di notevole valore. In tali casi, infatti, l’acquirente in difficoltà o, peggio, in mala fede, potrebbe procedere all’alienazione a terzi di detti cespiti, con notevole danno per il cedente, il quale oltre a non aver incassato il prezzo, non avrebbe più la possibilità di rientrare nel possesso fisico dei beni. In tale ambito, l’inserimento di un patto di riservato dominio, con l’ulteriore adempimento della trascrizione presso il tribunale competente, può rendere “inefficace” l’atto di successiva rivendita per opposizione del patto di riservato dominio.
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, in questa sede ci si limita a segnalare che l’apposizione della clausola di riservato dominio non rileva ai fini dell’individuazione del momento in cui la cessione si considera effettuata (che rimane pertanto la data di stipulazione del relativo atto). Infatti, secondo l’art. 109, co. 2, lett. a), che individua nella data di stipula dell’atto di cessione d’azienda la relativa competenza del componente reddituale (plusvalenza), salvo che l’effetto traslativo non si verifichi successivamente, precisa che non si tiene conto di eventuali clausole di riserva della proprietà, le quali hanno pertanto una valenza meramente civilistica e non consentono in alcun modo di differire la tassazione della plusvalenza da cessione d’azienda.