Cessione “indiretta” di azienda: questione risolta, ma non del tutto
di Fabio LanduzziLa nota questione della portata applicativa dell’articolo 20 D.P.R. 131/1986 (Tur) concernente l’interpretazione degli atti ai fini dell’assolvimento dell’imposta di registro avrebbe dovuto trovare una soluzione definitiva dopo il duplice intervento normativo – dapprima con la L. 205/2017 e poi con la L. 145/2018 – con il quale è stato stabito, in particolare:
- che la qualificazione dell’atto ai fini dell’imposta di registro deve essere effettuata esclusivamente in base agli elementi contenuti nell’atto stesso e non anche secondo elementi extra testuali, così da prescindere anche dall’esistenza di altri atti che si ritenessero collegati; e
- che tale disposizione ha carattere di norma di interpretazione autentica, col che essa esplica effetti anche sugli atti e le liquidazioni anteriori alla sua entrata in vigore, purché riferite a fattispecie non resesi definitive per accertamenti non impugnati o sentenze passate in giudicato.
Tutto risolto, quindi? Apparentemente sì, come parrebbe evincersi, in ultimo, anche dalla risposta n. 196 di recente pubblicazione, in cui l’Amministrazione Finanziaria, interpellata sul caso di una operazione di ristrutturazione, funzionale al trasferimento a terzi di rami di azienda alberghieri, riconosce:
- che il conferimento di ramo di azienda in una società di nuova costituzione, le cui quote sono destinate ad essere immediatamente cedute ad un terzo soggetto, sconta l’imposta di registro in misura fissa prevista appunto per ciascuno dei due atti (conferimento di azienda e cessione di quote societarie), senza che possa essere riqualificata una c.d. cessione “indiretta” di azienda ai sensi dell’articolo 20 Tur; e
- che una siffatta operazione non costituisce fattispecie elusiva ai sensi dell’articolo 10-bis L. 212/2000, poiché non si configura alcun vantaggio fiscale indebito ai fini dell’imposta di registro, stante il fatto che il differenziale fra l’imposta fissa dovuta sugli atti di conferimento e di cessione di quote sociali, rispetto all’imposta proporzionale dovuta sulla cessione di azienda, non contrasta con i principi dell’ordinamento.
In questo contesto, ha lasciato perciò alquanto perplessi un passaggio contenuto nella risposta n. 13 del 2019 con cui l’Amministrazione Finanziaria, dopo aver ribadito che l’operazione sottoposta al suo esame, che in quel caso era rappresentata da una scissione societaria seguita da una cessione di quote, era soggetta ad imposta di registro in misura fissa, ha però aggiunto che, in forza della disciplina anti abuso di cui all’articolo 10-bis, se a seguito della cessione delle partecipazioni si fosse addivenuti poi alla fusione per incorporazione della società acquisita nella società acquirente, allora il tutto avrebbe potuto essere ricondotto ad un trasferimento indiretto dell’azienda soggetto ad imposta di registro proporzionale.
Insomma, imposta di registro fissa se dopo l’acquisizione la società target mantiene la sua individualità, e imposta di registro proporzionale, perché operazione elusiva, se invece la società target è fusa nella acquirente.
Questa tesi, come detto, ha destato molte osservazioni critiche che ne hanno stigmatizzato la carenza di un fondamento tecnico sufficientemente solido.
In modo particolare, Assonime, nella circolare n. 13/2019 ha fortemente criticato questa posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate, che di fatto rischia di riproporre tutte le incertezze che avevano generato un ampio contenzioso a cui il Legislatore ha appunto inteso porre rimedio con l’intervento sopra citato; incertezze che, peraltro, avevano creato non poche difficoltà nella negoziazione ed esecuzione delle operazioni di M&A, tipicamente eseguite da operatori professionali come i fondi di private equity, oppure nelle operazioni di risanamento.
Le critiche a questa tesi sono molteplici e fra tutte spiccano le seguenti: in primo luogo, come potrebbe essere chiamato a rispondere di un’imposta di registro un soggetto (il conferente del ramo di azienda e poi cedente delle partecipazioni nella conferitaria) che è totalmente estraneo alla successiva fusione?
In secondo luogo, si tratta di un risultato del tutto contrario ai principi di neutralità delle operazioni di ristrutturazione societaria sanciti dalla Direttiva europea n. 7/2008.
Infine, sarebbe la fusione l’innesco della fattispecie elusiva, quando la fusione è per univoca interpretazione dottrinale e giurisprudenziale una mera operazione riorganizzativa del modo di fare impresa, con l’ulteriore aggravio che sarebbe demandato ad una valutazione del tutto soggettiva e priva di un fondamento oggettivo la valutazione circa entro quanto tempo susseguente all’acquisto la fusione rappresenterebbe l’innesco di questa presunta patologia.
Sì, perché non si può certo concludere che la fusione possa essere sempre fonte di possibile innesco di abusività in queste circostanze, dato che si arriverebbe veramente ad una situazione oltre ogni paradosso.
Un chiarimento, come suggerito da Assonime, sarebbe perciò molto utile e apprezzato per tutti gli operatori coinvolti in operazioni straordinarie.