Cessione di partecipazioni e limiti al riporto delle perdite
di Domenico SantoroGianluca CristoforiIn una recente risposta a un’istanza di interpello non pubblica, la Divisione Contribuenti dell’Agenzia delle Entrate parrebbe aver esteso, in via interpretativa, l’ambito di applicazione della disciplina anti-elusione specifica di cui all’articolo 84, comma 3, Tuir, volta a fronteggiare la pratica del cd. “commercio di bare fiscali”, andando però ben oltre il dato letterale della norma.
Come noto, tale disciplina inibisce il riporto ai successivi periodi d’imposta delle perdite fiscali pregresse (oltre che delle eccedenze di interessi passivi temporaneamente indeducibili e delle eccedenze di Ace non ancora utilizzate nella determinazione del reddito imponibile) allorquando siano congiuntamente riscontrate le seguenti due condizioni:
- la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto in assemblea ordinaria del soggetto che riporta le perdite sia trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo;
- sia modificata l’attività principale in fatto esercitata nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state realizzate. Tale modifica assume peraltro rilevanza se interviene nel periodo d’imposta in corso al momento del trasferimento, ovvero nei due periodi successivi o precedenti.
In merito al riscontro della prima delle succitate condizioni, già co27n la circolare 320/1997 era stato precisato che il trasferimento della maggioranza delle partecipazioni potrebbe concretizzarsi sia nel caso di trasferimento di una partecipazione di per sé di controllo, sia nel caso in cui l’acquisizione del controllo avvenisse a seguito di integrazione della percentuale di partecipazione già posseduta. Il requisito dell’acquisizione del controllo, inoltre, potrebbe realizzarsi, non soltanto mediante il trasferimento della proprietà delle partecipazioni, bensì anche mediante altri negozi giuridici come, ad esempio, la costituzione di usufrutto sulle partecipazioni di maggioranza (purché il diritto di voto sia attribuito all’usufruttuario), il conferimento delle partecipazioni (quando, per l’effetto, il conferente perda il controllo sulla società le cui partecipazioni sono oggetto di conferimento) o l’aumento di capitale (nel caso in cui sia sottoscritto dai soci in misura tale da trasferire il controllo da un soggetto a un altro, ovvero anche per concambio, in ipotesi di fusione o scissione).
In merito, invece, al riscontro della seconda delle succitate condizioni, con lo stesso documento di prassi era stato precisato che, per attività principale, deve intendersi l’attività che, sulla base di riscontri fattuali, risulti quantitativamente superiore, con riferimento ai ricavi, ad altre attività comunque svolte dalla società di cui sia trasferito il controllo assembleare, risultando quindi da privilegiare il cambiamento dell’attività economica prevalente nei fatti esercitata e non l’eventuale mera modifica dell’oggetto sociale.
Secondo la tesi di recente sostenuta dall’Agenzia delle Entrate, tale disciplina troverebbe applicazione sia nel caso in cui sia riscontrabile una modifica dell’attività principale svolta dalla società per effetto del passaggio da un comparto di operatività a un altro, sia – discostandosi, però, in tal caso, dal tenore letterale del menzionato articolo 84, comma 3, Tuir – allorquando il cambiamento avvenga anche nell’ambito del medesimo comparto di operatività, per effetto di una mera espansione e/o riattivazione della principale attività un tempo esercitata e dalla quale sono conseguite le perdite, quando ciò fosse associato alla circostanza che siano apportate risorse aggiuntive, rispetto a quelle residue a disposizione della società che riporta le perdite, da parte del soggetto che ne acquisisce (o ne acquisirà) il controllo.
Provando ad esemplificare, da tale approccio dell’Agenzia delle Entrate parrebbe potersi desumere che:
- se fosse acquisita una partecipazione di controllo in una società che produceva scarpe da parte di un soggetto economico che, invece, andrà a produrre elettrodomestici, sia il tenore letterale della norma, sia la ratio della stessa sarebbero certamente soddisfatti, trovando quindi applicazione la disciplina anti-elusione specifica e fin qui non vi è nulla di nuovo;
- se fosse acquisita una partecipazione di controllo in una società che produceva scarpe da parte di un soggetto economico che continuerà a produrre scarpe, senza soluzione di continuità, sfruttandone l’organizzazione, i presupposti per applicare la norma anti-abuso non sarebbero soddisfatti, cosicché le perdite fiscali (ovvero gli interessi passivi eccedenti e/o l’Ace inutilizzata) sarebbero riportabili ai successivi periodi d’imposta e, anche in questo caso, non vi è nulla di nuovo;
- se, invece, fosse acquisita una partecipazione di controllo in una società che produceva scarpe da parte di un soggetto economico che continuerà a produrre scarpe, ma nel frattempo non fosse rimasto proprio nulla dell’originaria organizzazione di persone, mezzi e assets intangibili, tant’è che magari la società è divenuta un mero contenitore giuridico con un unico assest valorizzabile (le perdite fiscali, ovvero gli interessi passivi eccedenti e/o l’Ace inutilizzata), è pur vero che l’attività che sarebbe “riattivata” è nominalmente la stessa, ma – secondo l’Agenzia delle Entrate – la ratio della norma antiabuso potrebbe considerarsi comunque soddisfatta, visto che si tratterebbe – pur sempre – di un trasferimento intersoggettivo di assets fiscali non supportato da plausibili ragioni economico-gestionali extra-tributarie;
- se, infine, e qui l’elemento di novità pare più marcato, fosse acquisita una partecipazione di controllo in una società che produceva scarpe da parte di un soggetto economico che continuerà a produrre scarpe, ma nel frattempo l’originaria organizzazione si fosse significativamente depotenziata, proprio in ragione della reiterata produzione di perdite, la ratio della norma antiabuso potrebbe considerarsi comunque soddisfatta – quantomeno secondo la restrittiva lettura della norma fornita dall’Agenzia delle Entrate – ove la società venisse patrimonialmente “ri-potenziata” dal nuovo socio di controllo, esercitando un’attività che si potrebbe invero definire “nuova” solo sotto un profilo meramente “dimensionale” e ciò, francamente, disorienta un po’, trattandosi di una lettura che trascende sia il tenore letterale della norma, sia la prassi pregressa sul tema.
Salvo che non si tratti semplicemente di un’infelice formulazione della risposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, sarebbe quindi utile che la stessa facesse chiarezza sul punto, evitando di introdurre un disincentivo fiscale alle operazioni di “salvataggio” di imprese in crisi, che necessitano – proprio per tale motivo – di imprescindibili ricapitalizzazioni post-acquisizione, spesso anche allo scopo di tutelare i livelli occupazionali e la permanenza sul territorio italiano di attività economiche altrimenti destinate a chiudere i battenti.
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