Cessioni di beni nei “duty free shop” escluse dal plafond
di Marco PeiroloLe cessioni di beni effettuate nei duty free shop nei confronti di viaggiatori diretti verso Paesi extra-UE non rilevano ai fini né della formazione del plafond, né dell’acquisizione dello status di esportatore abituale, in quanto non rientrano nelle cessioni all’esportazione di cui alle lett. a) e b) del primo comma dell’articolo 8 del D.P.R. n. 633/1972.
È quanto chiarito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-09750 del 13 ottobre 2016, confermando l’orientamento già espresso in passato sulla materia dalla stessa Amministrazione in aderenza alla posizione più recente della Corte di Cassazione.
Il dubbio sulla qualifica dell’operazione nasce, a ben vedere, da un equivoco di partenza.
Gli interroganti hanno sollecitato l’intervento dell’Autorità fiscale per avere chiarimenti sulla possibilità di considerare le cessioni di beni previamente collocati dall’operatore commerciale in territorio extra-doganale come non imponibili ed, in quanto tali, idonee ad alimentare il plafond disponibile per l’acquisto o l’importazione di beni e servizi senza applicazione dell’IVA.
Il malinteso è evidente se si considera, in primo luogo, che i duty free shop non sono territorio extra-doganale e, in secondo luogo, che le cessioni effettuate al loro interno nei confronti dei viaggiatori diretti verso Paesi non appartenenti alla UE hanno per oggetto merce “allo stato estero”.
Se questa è la situazione viene automaticamente meno la possibilità di qualificare le cessioni in esame come non imponibili ai fini IVA.
Non si possono, infatti, equiparare tali operazioni a quelle compiute in dipendenza dell’invio di beni al di fuori dell’Unione europea in occasione di fiere, mostre e mercati, che la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 5168/2016), ma non l’Amministrazione (nota n. 839/D/2000), ha recentemente considerato cessioni all’esportazione non imponibili benché l’effetto traslativo della proprietà si manifesti quando i beni sono già collocati in territorio estero, in difetto del presupposto previsto dall’articolo 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.
L’assimilazione – che traspare dal testo della risposta fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – non è legittima per le ragioni anzidette. In buona sostanza, perché, da un lato, la cessione all’interno dei duty free shop è da intendersi parificata a quella effettuata in qualunque altro punto del territorio doganale della UE e, dall’altro, le operazioni poste in essere nei particolari negozi situati presso i porti e gli aeroporti hanno per oggetto merci “allo stato estero”, prive quindi della condizione giuridica di merci nazionali o nazionalizzate richiesta dalla normativa IVA per poter considerare soddisfatto il requisito territoriale dell’operazione necessario (anche) ai fini della non imponibilità.
A fondamento di questa indicazione, nella risposta si ribadisce che i duty free shop non possono essere considerati territorio extra-doganale, essendo tale qualificazione attribuibile solo ai territori espressamente individuati come tali dal Codice doganale dell’UE (articolo 4 del Reg. UE n. 952/2013). Già con la circolare 179/2000, l’Agenzia delle Dogane aveva precisato che i negozi per la vendita ai viaggiatori in uscita dallo Stato, posti nell’area extra-Schengen, sono gestiti ai sensi dell’articolo 128 del D.P.R. n. 43/1973 (Testo unico delle leggi doganali) poiché normalmente destinati agli acquisti da parte dei viaggiatori diretti verso Paesi terzi. Con lo stesso documento di prassi è stato chiarito, in particolare, che negli speciali negozi in questione è possibile introdurre sia merce unionale che non unionale, conferendo, in ogni caso, alla merce introdotta nei duty free shop lo status di beni “allo stato estero”.
Assodato che le cessioni in esame non sono qualificabili come esportazioni ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, esse non rilevano neppure ai fini dell’acquisizione della qualifica di esportatore abituale e della formazione del plafond.
Risulta, pertanto, confermata la posizione espressa dalla Suprema Corte con le sentenze 21986 e 21988/2013, che nega la legittimità del plafond in capo alla società che si occupa della gestione di negozi duty free all’interno di un aeroporto, in quanto le vendite effettuate nei confronti di viaggiatori con destinazione extra-UE non possono classificarsi come esportazioni ai sensi dell’articolo 8, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 (in senso contrario, Cass. n. 22312/2010).
Dato che il trasporto è curato esclusivamente dal viaggiatore in transito, manca infatti il requisito essenziale affinché si realizzi una cessione all’esportazione in base alla lett. a) del citato articolo 8, ossia che il trasporto/spedizione dei beni fuori del territorio della UE sia effettuato a cura o a nome del cedente. Inoltre, le cessioni in esame non rientrano neppure nell’ipotesi della successiva lett. b), considerando che tale disposizione esclude il regime della non imponibilità per le cessioni di beni da trasportare in territorio extra-UE nei bagagli personali del cessionario.
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