22 Settembre 2016

CFC white list: pochi giorni per adeguarsi ai criteri semplificati

di Andrea MartelliPietro Vitale
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Si è data evidenza in un contributo di ieri della pubblicazione del provvedimento dello scorso 16 settembre con cui l’Agenzia delle entrate ha definito i criteri “semplificati” per determinare l’effettivo livello di tassazione richiesto dalla lettera a) dell’articolo 167, comma 8-bis, TUIR.

I criteri dettati dal provvedimento sono applicabili già in Unico 2016 in scadenza il prossimo 30 settembre, trattandosi di disposizioni di carattere applicativo di una norma, il comma 8-bis, fra l’altro non modificata nella sua formulazione testuale dal “decreto internazionalizzazione”. Era ovvio aspettarsi che il provvedimento non dettasse criteri in merito alle CFC black list, concentrandosi invece solo sulle CFC cd. white list, atteso che per il 2016 il loro trattamento non crea particolari difficoltà (dovendoci rifare ad un mero tasso nominale). Si hanno quindi a disposizione solo pochi giorni eventualmente per adeguarsi ai nuovi criteri.

Prima di addentrarci nell’analisi del provvedimento si ritiene tuttavia utile ricordare che, in relazione alle CFC black list per il 2015:

  • l’identificazione avviene con criteri che prendono in considerazione i regimi speciali esteri che prevedano un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia (in tal senso anche la circolare n. 35/E/2016 nella tabella del par. 1.2.2). Si ritiene che tale livello di tassazione debba intendersi effettivo e non nominale; infatti, uno Stato con un livello nominale non congruo sarebbe stato incluso nel D.M. con estrema probabilità (il quale non può, ovviamente, che riferirsi alla tassazione nominale);
  • nel silenzio del provvedimento, ci pare ragionevole e coerente affermare che per determinare il livello di tassazione della CFC black list, occorra applicare i criteri enunciati nel provvedimento medesimo; e più in generale i criteri in quest’ultimo dettati dovrebbero essere presi a riferimento, anche per periodi successivi al 2015, come ad esempio in relazione ai tassi da utilizzare al fine di fare valere la seconda esimente (cfr. par. 1.3 circolare n. 35/E/2016).

Fatto questo breve inquadramento di carattere sistematico, al fine di contestualizzare l’ambito di quale quadro interpretativo il citato provvedimento si colloca, si riepilogano nel seguito gli highlights.

Con riferimento alla imposta italiana virtuale viene chiarito che:

  • si tiene conto dell’ACE (articolo 1 D.L. 201/2011);
  • non si tiene conto di regimi fiscali opzionali italiani a cui la controllata avrebbe potuto aderire qualora fosse stata residente in Italia;
  • non si tiene conto del limite di utilizzo dell’80% delle perdite fiscali pregresse ex articolo 84, comma 1, TUIR; pertanto le perdite fiscali pregresse maturate in costanza di applicazione della normativa CFC possono essere portate a riduzione del reddito dell’anno per l’interno ammontare. A tali fini si ricorda che le perdite pregresse spettano (i.e. sono riportabili) solo se sono state memorizzate nel quadro FC (circolare n. 23/E/2011 par. 7.4), sia ai fini del calcolo del confronto tra i tax rates, sia, per la parte non utilizzata, ai fini della riduzione del reddito da imputare per trasparenza.

Con riferimento alla imposta estera effettiva viene chiarito che:

  • occorre dapprima riferirsi alle imposte estere che hanno natura di imposte sul reddito. Questo determina, in assenza di Convenzione contro le doppie imposizioni, la necessità di addentrarsi nella costruzione della base imponibile dell’imposta estera, magari avvalendosi di consulenti esteri, al fine di valutare se essa è simile a quella delle imposte sui redditi. Il provvedimento, inoltre, chiarisce che in presenza di imposte applicate da Stati appartenenti ad uno Stato federale, rientrano nel concetto di imposte sul reddito sia le imposte federali sia quelle statali, ad esempio per gli USA, nonostante le imposte statali non siano espressamente coperte dalla Convenzione contro le doppie imposizioni;
  • le imposte estere sul reddito devono emergere dal bilancio (o rendiconto) della società estera, dalla relativa dichiarazione, dalle ricevute di versamento e dalle ritenute subite. Questo ci permette di dedurre (aspetto non chiarito) che le imposte estere a cui il provvedimento si rifà siano quelle correnti (salvo quanto avremo modo di chiarire successivamente), non quelle di competenza. Pertanto tutta la fiscalità differita della società estera per la parte connessa alle variazioni temporanee non rilevanti dovrà essere trascurata ai fini della comparazione;
  • la tassazione effettiva estera si determina pertanto come rapporto fra le imposte correnti ed il risultato pre-tax emergente dal bilancio/rendiconto estero (assunto secondo i principi contabili locali);
  • si tiene conto di regimi analoghi all’ACE italiana e, a nostro avviso, anche meccanismi similari alla vecchia Dual Income Tax;
  • l’esenzione che nello Stato estero è concessa su dividendi e su plusvalenze relative a partecipazioni che in Italia godrebbero dei requisiti della partecipation exemption (articolo 87 e 89 TUIR) è equiparata alla tassazione italiana dell’1,375%. Pertanto la tassazione dello 0% estera su tali componenti è equiparata all’1,375% italiano. Si riconosce in sostanza l’ormai consolidato principio che l’1,375% italiano è un mero recupero dei costi relativi alla gestione delle partecipazioni;
  • non si tiene conto dei limiti di utilizzo delle perdite fiscali pregresse imposti dalla legislazione estera e simili a quelli dell’articolo 84 TUIR. Si ricorda che sulla base del paragrafo 2.6 della circolare n. 23/E/2011 le perdite fiscali pregresse estere sorte prima dell’applicazione della normativa CFC devono essere sterilizzate (a tutto beneficio del contribuente, che così determinerà una maggiore tassazione estera) dalla base imponibile estera;
  • le agevolazioni temporanee concesse dallo Stato estero non devono essere considerate sul calcolo dell’imposta estera o dell’imponibile. L’agevolazione, tuttavia, non deve essere superiore a 5 anni. Viceversa, le agevolazioni strutturali (quindi quelle aventi durata maggiori di 5 anni o concesse dallo stato estero per effetto di ruling individualmente concessi alla controllata) vanno sempre considerate ed impattano sempre in negativo sulla imposta estera effettiva.

In relazione alle variazioni fiscali temporanee il provvedimento specifica che ai fini del calcolo del tax rate sono irrilevanti le variazioni non permanenti aventi un riversamento certo e predeterminato in base alla legge o a piani di rientro. Rilevano invece i riversamenti di variazioni temporanee sorte in periodi di imposta anteriori a quello in cui il decreto internazionalizzazione è entrato in vigore (2015) e che sono state considerate in detti periodi rilevanti ai fini della comparazione delle due tassazioni.

Il provvedimento fa salve le indicazioni fornite dalla circolare n. 51/E/2010 e circolare n. 23/E/2011. Resta quindi valida la precisazione secondo cui per far valere una imposta differita (tipicamente passiva determinata da una variazione in diminuzione della base imponibile estera) occorreva proporre l’interpello.

Ricordiamo, infine, che in tali circolari era stato chiarito (ed ora ribadito anche dal provvedimento) che nel calcolo delle imposte virtuali italiane era da considerare la sola IRES e per le sole CFC white list. Nulla pertanto ad oggi viene specificato per le CFC black list per le quali ad oggi, per il 2015, resta ancora il dubbio se considerare anche l’IRAP.

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Disciplina C.F.C. alla luce dei chiarimenti forniti dalla circolare 35/e/2016