Che fine ha fatto la iso 9001?
di Michele D’Agnolo
Forse qualcuno di voi lettori ricorderà ancora la ISO 9001, il famoso standard internazionale di gestione per la qualità che alcuni anni or sono è stato sperimentato per la prima volta negli studi professionali.
Ci si chiede oggi come mai dopo una prima vampata di interesse generale da parte del ceto professionale la norma non ha poi trovato l’ampia adesione che invece ci si attendeva.
Sono rimasti soltanto alcune centinaia gli studi legali, commerciali e di consulenza del lavoro che aderendo allo standard internazionale, hanno ritenuto utile dotarsi di procedure scritte e accettano di aprire le loro porte a ispezioni annuali da parte di un ente terzo. Un po’ più numerosi gli odontoiatri. L’unico campo in cui la certificazione sembra aver avuto successo è nell’ambito degli studi tecnici, ma in quel caso la massiccia adesione deriva dall’obbligo normativo. La certificazione di qualità è infatti un pre-requisito per ottenere l’accesso agli appalti pubblici. Anche negli studi medici il bollino spesso è necessario per l’accreditamento.
Certamente il costo iniziale di redazione delle procedure e di addestramento del personale possono scoraggiare gli studi più piccoli o meno motivati. Anche l’approccio estremamente burocratico impartito da Accredia (già Sincert) ai verificatori ha comportato una applicazione decisamente poco flessibile delle regole contenute nella ISO. Alcuni punti della norma, come la progettazione ad esempio, non hanno ancora trovato una uniforme applicazione da parte degli auditors con rispetto agli studi professionali. In realtà la iso 9000, nata per le produzioni industriali, non riesce ancora a cogliere l’approccio olistico e multitasking tipico delle prestazioni professionali, che spesso non prendono corpo all’interno di un iter lineare ma si sviluppano in una “conversazione” del professionista con la situazione che è chiamato a risolvere.
Ma i maggiori problemi incontrati sono stati certamente quelli di carattere applicativo. In primis, la diffusa latitanza della direzione dello studio, che a parole vuole la certificazione ma senza profondere maggiori impegni diretti nel management dello studio. Occorre ricordare che, per quanto possano le procedure, lo studio non è un drone. Purtroppo non è telecomandabile, ma richiede invece un coaching continuo.
Questa importante assenza ha spesso portato ad una applicazione delegata e formale dello strumento ISO, con la conseguenza che negli studi certificati la maggior parte del personale ignora il manuale di procedure durante tutto l’anno tranne nelle due settimane precedenti l’audit esterno.
Nel dettaglio, sono stati ampiamente sottovalutati da parte dei titolari degli studi certificati le potenzialità degli strumenti “buoni” della norma quali il piano degli obiettivi e degli indicatori quantificati, l’attribuzione di risorse proporzionate alla responsabilità e di responsabilità proporzionate alle risorse assegnate, l’impareggiabile potenza degli audit interni se svolti con la dovuta frequenza e con la attiva partecipazione dei titolari di studio, le schede per la valutazione periodica del personale che non andrebbero compilate la notte prima degli esami. Non di rado, sono stati proprio i professionisti titolari i primi a non utilizzare procedure e checklist, con ciò togliendo il potente effetto esempio che è richiesto alla leadership in caso di rilevanti cambiamenti gestionali e organizzativi. Questo comportamento schizofrenico lascia naturalmente lo spazio ai collaboratori più scettici che possono abilmente bollare l’iniziativa come l’ennesimo capriccio dei titolari.
E così, una buona idea mal applicata finisce per diventare considerata una cattiva idea e non fa riflettere assolutamente sul come è stata applicata.
Con ogni probabilità, la maggior parte dei titolari degli studi certificati non voleva uno strumento di gestione ma voleva essere manlevata in toto dalla gestione, non voleva un mezzo ma voleva raggiungere la meta senza alcuna fatica. Non basta comprare una cyclette per dimagrire, bisogna pedalare quotidianamente. In quest’ambito anche i consulenti di direzione devono ripensare al modo di proporre la propria professionalità agli studi professionali, stimolando forme di maggiore coinvolgimento da parte della direzione dello studio e offrendo servizi di coaching che consentano attraverso una azione più persistente di supplire alle poche energie messe a disposizione dai titolari.
I professionisti hanno peraltro un locus of control sempre esterno per cui a fronte del successo solo formale dello strumento ISO nel proprio studio hanno spesso incolpato la norma, i verificatori e i consulenti, e financo i loro più fedeli collaboratori, evitando così di doversi guardare allo specchio e interrogarsi sul loro effettivo impegno profuso nell’implementazione dello strumento.
Per superare parte dei problemi che si sono presentati in fase concettuale e applicativa, si discute oggi in Italia della creazione di standard organizzativi proprietari, stabiliti a partire da regole di buone prassi rilevate nelle professioni intellettuali. E così in altri paesi del mondo sono nati già da qualche anno standard organizzativi ad hoc per gli studi legali, commerciali, odontoiatrici e via discorrendo proposti direttamente dagli organismi di categoria, cioè organismi di regolazione o sindacati. Si tratta di principi meno astratti e sicuramente più calati nella realtà delle singole professioni a cui si riferiscono.
Anche la ISO 9001 troverà nel corso del 2015 una nuova versione, che dalle anticipazioni si promette molto più leggera dal punto di vista documentale, e maggiormente orientata alla gestione dei rischi e delle attività di servizio.
Tuttavia, non credo che da soli tali nuovi standard possano risolvere i problemi organizzativi e gestionali degli studi professionali. Solo laddove la ISO 9000 è diventata una autentica filosofia di gestione, sposata dai titolari e condivisa in quanto somministrata a tutta la struttura con la necessaria autorevolezza allora si sono verificati i benefici attesi. In alcuni casi virtuosi si è addirittura preferito proseguire soltanto con gli audit interni ravvisando il superamento della necessità degli audit esterni. Leadership cercasi disperatamente.