Circolare 18/E/2021: irrisolta la questione della holding estera ai fini CFC
di Ennio VialNel caso del controllo di una holding estera, si deve valutare se questa rientri o meno nel regime CFC di cui all’articolo 167 Tuir. La holding svolge una attività che può essere annoverata tra quelle passive. Il problema è quello di determinare il livello della tassazione teorica italiana.
Al riguardo, il punto 5 lett. g) del provvedimento 27.12.2021, n. 376652 prevede, in assoluta linea con il passato, che “l’imposizione italiana nei limiti del 5 per cento del dividendo o della plusvalenza, previsto negli articoli 87, comma 1, lettera c) e 89, comma 3, del Tuir, si considera equivalente a un regime di esenzione totale che preveda, nello Stato di localizzazione della controllata, l’integrale indeducibilità dei costi connessi alla partecipazione”.
Gli operatori devono tristemente constatare che, come in passato, non risulta chiaro come debba avvenire detta equiparazione. Ad avviso di chi scrive, potrebbero concretizzarsi tre possibili soluzioni:
- si deve operare l’equiparazione della disciplina estera a quella italiana;
- si deve operare l’equiparazione della disciplina italiana a quella estera;
- si deve operare l’eliminazione dal bilancio della società estera delle partecipazioni e dei rispettivi componenti di reddito.
Chiariamo con un esempio.
Si consideri una società estera con il seguente conto economico.
Si supponga, inoltre, che l’aliquota estera sia del 10% e che le plusvalenze o i dividendi siano integralmente esenti a fronte della indeducibilità dei costi.
Le conclusioni sono diverse a seconda che si assimili il regime estero a quello italiano (ipotesi 1) o si assimili il regime italiano a quello estero (ipotesi 2).
Ipotesi 1) assimilazione al regime italiano | |
utile | 980 |
variazione diminuzione dividendi | – 950 |
reddito imponibile | 30 |
ires 24% | 7,2 |
imposta estera 10% su reddito imponibile “italiano” | 3,0 |
In questo caso il livello impositivo estero risulta inferiore al 50% di quello italiano (7,2/2=3,6 > 3) e la holding risulta quindi paradisiaca.
L’assimilazione al regime italiano determina la rilevanza dell’aliquota estera.
Ipotesi 2) assimilazione al regime estero | |
utile | 980 |
variazione diminuzione dividendi | – 1.000 |
variazione in aumento (costi indeducibili) | 20 |
reddito imponibile | – |
ires 24% | – |
imposta estera 10% | – |
In questo caso i due livelli impositivi coincidono e la società non è considerata paradisiaca: la misura dell’aliquota estera perde di rilievo.
La terza soluzione comporterebbe l’espunzione dal bilancio della società CFC delle partecipazioni pex iscritte all’attivo e dei corrispondenti proventi: dividendi e plusvalenze.
Si adotterebbe, in altre parole, un approccio per certi versi simile a quello delle società di comodo dove non vengono computate ai fini del conteggio le partecipazioni detenute in società operative né ai fini dell’attivo, né ai fini dei redditi.
Sul tema si deve ricordare anche il Principio di diritto n. 5 del 06.04.2021. In quell’occasione l’Agenzia ha avuto modo di chiarire che la holding lussemburghese non è interessata dal Provvedimento, ciò in quanto la normativa lussemburghese prevede che l’indeducibilità dei costi e delle svalutazioni delle partecipazioni trovi applicazione nei soli limiti del reddito esente e che, al momento della cessione della partecipazione, l’eventuale plusvalenza realizzata venga assoggettata a tassazione fino a concorrenza delle eccedenze dedotte.
Questo meccanismo impositivo (c.d. recapture), quindi, opera solo nel caso in cui la società ceda la partecipazione e a condizione che, da tale cessione, essa realizzi una plusvalenza di ammontare almeno pari a quanto dedotto.
Alla luce di ciò non si può quindi affermare che il regime lussemburghese di esenzione totale delle plusvalenze e dei dividendi preveda “l’integrale indeducibilità dei costi connessi alla partecipazione” nel senso chiarito dal punto 5 lett. g) del provvedimento 27.12.2021, n. 376652.