5 Giugno 2015

Coerenza, occasione da sfruttare

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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Tra poco avrà avvio la stagione degli studi di settore, con le varie paturnie per cercare di comprendere quali siano i difetti che causano la non congruità dei clienti ed in particolare se è lo studio di settore ad essere difettoso oppure è davvero il cliente ad essere anomalo. La registrazione del valore di non congruità, comunque, deve essere gestita con estrema razionalità, evitando soprattutto la tentazione di “manipolare” le indicazioni di “Gerico” proprio al fine di raggiungere il valore puntuale di riferimento. In tale direzione sono molteplici le riflessioni da effettuarsi, a partire dalla circostanza, ormai assodata, che lo studio di settore è una presunzione semplice non in grado di consentire un accertamento automatizzato: tutt’al più il contribuente può essere convocato per eventuali spiegazioni in contraddittorio e a seguito dello stesso, in caso di assenza del contribuente o di spiegazioni ritenute non plausibili, è possibile procedere all’accertamento, peraltro dovendo adeguatamente motivare circa le ragioni del mancato accoglimento delle tesi di parte.  Se invece l’Amministrazione finanziaria scorge che lo studio di settore è stato artefatto, può trovare applicazione l’articolo 39, secondo comma, del DPR 600/73, con dunque applicazione dell’accertamento induttivo e utilizzo delle presunzioni semplici anche non qualificate: in termini pratici, proprio la “manipolazione” dello studio di settore apre la strada al relativo utilizzo accertativo.

A far comprendere che eventuali tentativi sono del tutto inutili provvede poi il responso degli indici di coerenza, gli unici che non impattano in termini di maggiori ricavi/compensi da dichiarare. Nella stragrande maggioranza dei casi proprio le manipolazioni di “Gerico” fanno aumentare le incoerenze, sia sufficiente pensare all’eliminazione dei beni strumentali (con magari presenza dei costi di ammortamento), alle movimentazioni anomale delle rimanenze (ne risente la rotazione del magazzino) o ancora alla “classificazione” di determinati acquisti in categorie del tutto difformi (come nel caso degli acquisti di merce “indicati” nei costi residuali).

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