6 Agosto 2015

Come cambiano accordi di ristrutturazione e fallimento, per adesso

di Claudio Ceradini
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Ad essere del tutto sinceri, per quanto alcune delle modifiche introdotte dal decreto sulla giustizia civile siano
apprezzabili, e sottolineo alcune, l’
urgenza imposta appare veramente poco comprensibile. Lo scorso gennaio come sappiamo si è insediata la Commissione Rordorf con il compito di elaborare una
complessiva e profonda rivisitazione della
legge fallimentare. Il decreto di nomina le ha imposto tempi
molto contenuti, che scadranno alla fine dell’anno. Abbiamo anche commentato i primissimi risultati, pur sostanzialmente informali, ed il sapore della vera e propria
rivoluzione era chiaramente percepibile, in tutti gli ambiti, dal piano attestato fino al fallimento, ed oltre. Il sospetto quindi è che il tempo e le energie profuse nella
mini riforma che stiamo commentando abbiano prodotto risultati piuttosto
effimeri, destinati a non lasciare il segno, se non nel lavoro e nella memoria di chi, in trincea, tra una modifica e l’altra deve riuscire a
introdurre efficacemente e correttamente concordati o richieste di omologa di accordi di ristrutturazione, cercando di intuire il
momento più adatto.

In ogni caso, durassero tanto o poco, le novità vanno studiate e capite. Dopo aver visto martedì cosa è cambiato per il concordato preventivo, concludiamo oggi una sintetica disamina dell’assetto presumibilmente definitivo di fallimento e accordi di ristrutturazione.

Agli artt. 9 e 10 del Decreto 83/2015 la legge di conversione non ha apportato grandi modifiche, e quindi la versione definitiva dell’accordo di ristrutturazione del debito con gli intermediari finanziari non si distanzia molto da quella iniziale. Rimane possibile quindi, in caso di prevalenza (più della metà) dell’indebitamento finanziario rispetto a quello complessivo, individuare una o più categorie in cui raggruppare, secondo criteri di omogeneità di posizione giuridica e interessi economici, uno o più intermediari finanziari (banche e assimilati). All’interno della categoria, gli effetti dell’adesione dei creditori che ne rappresentino almeno il 75%, possono essere estesi agli altri. In senso è quello di evitare che una banca, ridotta per esposizione, strumentalmente opponga il proprio rifiuto contando sul conseguente obbligo del debitore di saldare, e rapidamente, l’intero debito. E talvolta il “gioco” riesce, soprattutto se le altre banche hanno molto da rimetterci. Un po’ di concordato entra nell’accordo quindi, con l’introduzione di un effetto cogente prima del tutto estraneo ad uno strumento del tutto, o quasi, privatistico. Quello che cambia con la conversione del decreto è che il credito del dissenziente non potrà più, oltre che subire le condizioni convenute dagli altri compagni di categoria, essere anche computato ai fini del raggiungimento della soglia del 60%, che al momento rimane. La legge di conversione ha rimosso l’ultimo periodo dell’art. 182septies, co. 2 L.F., e quindi il quorum dovrà essere calcolato computando solo gli aderenti “spontanei”. Rimangono un numero imprecisato di dubbi operativi (categoria degli intermediari finanziari, conseguenze della categoria sulla proposta, computazione delle quote ci credito “declassate”, etc.) ma non so nemmeno se avremo il tempo di parlarne, visto che la rivoluzione che attende questo strumento pare essere radicale, nei prossimi mesi.

Nel fallimento, che si chiamerà così ancora per poco, poi sarà “liquidazione giudiziale”, alcuni cambiamenti vanno segnalati. L’art. 5 del decreto, che modifica l’art. 28 L.F., non prevede più tra i criteri di nomina del curatore il possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi (quelli nuovi e ridotti) dell’art. 104ter L.F., che disciplina il programma di liquidazione. Al suo posto troviamo un diverso criterio, le risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all’art. 33, co. 5, L.F., quelle relazioni semestrali che sino ad oggi nel curriculum del curatore hanno contato poco o niente, anzi niente. La ratio non cambia, dovranno essere nominati curatori in grado di svolgere rapidamente e bene il loro compito, e tutto sommato i risultati conseguiti nella realtà contano anche di più delle potenzialità organizzative. Le relazioni semestrali quindi, che oggi debbono essere trasmesse non solo al registro delle imprese, ma anche ai creditori, assumono una importanza nuova e, per quando si legge, dirimente ai fini della nomina.

Vale la pena di segnalare anche che i due anni del periodo di sorveglianza di cui al secondo comma dell’art. 28 L.F., che erano diventati cinque con il decreto, scompaiono del tutto con la conversione. Il senso non ci è chiaro, ma tant’è.

Del tutto nuovo inoltre l’ultimo comma dell’art. 64 L.F., che consente l’acquisizione automatica, mediante la trascrizione della sentenza di fallimento, dei beni oggetto degli atti del primo comma, e quindi gratuitamente trasferiti nei due anni precedenti, e quindi revocabili. E’ pur vero che la prassi in molti casi consentiva di evitare già l’azione giudiziale in senso stretto, nella fase di formazione dello stato passivo, e tuttavia la novità è certamente positiva.

Infine, le novità dell’art. 7 del decreto convertito. Viene aggiunto un ultimo periodo al terzo comma dell’art. 39 L.F., contenente un’utile e sana precisazione: al curatore possono essere riconosciuti acconti solo dopo un riparto. All’art. 43 L.F. viene aggiunto un comma finale, che assegna priorità alle controversie in cui è parte un fallimento. Anche in questo caso non si può che apprezzare.

In attesa di capire cosa della piccola riforma che abbiamo in queste settimane commentato sopravvivrà al 2015 e alla più sostanziale rivoluzione che si attende, auguriamo a tutti ottime e riposanti vacanze. Le mie iniziano adesso.