Come si attesta il corretto scomputo delle ritenute?
di Comitato di redazioneLe ritenute d’acconto subite si fanno sempre più numerose, specialmente in settori che interessano il reddito di impresa, con la conseguenza che si può porre un serio problema sotto due differenti punti di vista:
- da un lato, comprendere quale sia il corretto periodo di scomputo delle medesime;
- per altro verso, quale sia il controllo che deve essere effettuato nel caso in cui si renda necessario apporre il visto di conformità sulla dichiarazione.
In merito al primo interrogativo, vale subito la pena di rammentare il contenuto dell’articolo 22 del TUIR, che consente lo scomputo delle ritenute alla fonte a titolo di acconto operate anteriormente alla presentazione della dichiarazione.
Ulteriormente, la stessa norma precisa che le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall’imposta relativa al periodo di imposta nel quale sono state operate.
La tematica segnalata era già stata oggetto di approfondimento in merito al caso degli agenti di commercio, tipicamente interessati dalla vicenda; tuttavia, ci segnalano numerosi colleghi che identiche difficoltà si rinvengono in capo alle aziende interessate dalle ritenute nel settore della edilizia.
Dalla struttura della norma, a noi non sembra possano sussistere grandi dubbi:
- prioritariamente, vige il criterio per cui la ritenuta segue il reddito cui è connessa. Così, se una provvigione, oppure il ricavo per una prestazione edile, viene imputato al periodo 2015, la ritenuta che grava su tale reddito dovrà essere scomputata nello stesso periodo;
- in secondo luogo, però, affinché sia materialmente possibile lo scomputo stesso, è necessario che la ritenuta sia operata prima della presentazione della dichiarazione dei redditi, quindi prima del 30-09-2016.
Aggiungiamo pure che, ove la norma afferma che la ritenuta deve essere “operata”, sottintende che sia stato effettuato il pagamento (in tutto o in parte) del dovuto.
In quel momento, infatti, si realizza la materiale applicazione della “falcidia” imposta per legge.
Detto ciò, e dunque chiarito che la ritenuta si scomputa:
- con un criterio di competenza,
- di fatto subordinato però all’esistenza della manifestazione finanziaria,
non appare per nulla semplice capire quale sia la modalità per certificare tali ritenute:
- dapprima in capo al contribuente;
- in secondo luogo in capo al soggetto che, eventualmente, appone il visto di conformità.
Il contribuente dovrà pensare alle possibili contestazioni avanzate dalla Agenzia delle entrate che, ovviamente, dovrà osservare il meccanismo sopra delineato.
Si comprenderà bene, però, che capire se la ritenuta sia stata operata al momento di presentazione della dichiarazione, impone di:
- accettare un possibile disallineamento cronico tra versamenti effettuati alla data di naturale scadenza (normalmente 16 giugno) e debito effettivo, laddove qualche cliente pagasse nel lasso temporale che va da tale istante sino al 30 settembre;
- accettare che sia scomputabile una ritenuta senza avere una certificazione in tal senso; infatti, se oggi l’unico documento comprovante è la certificazione unica, va detto che non sussiste alcun obbligo per il soggetto erogante di rilasciare documentazione per periodi inferiori all’anno. Si dovrebbero, al limite seguire le procedure alternative suggerite dalle Entrate nel corso del 2009, vale a dire l’esistenza di un raccordo tra documentazione (contabile e bancaria) ed effettivo incasso di una minor somma rispetto a quella spettante per la prestazione resa.
Queste difficoltà oggettive potrebbero determinare nel contribuente la tentazione di scomputare le sole ritenute certificate in relazione agli incassi ricevuti sul periodo precedente (nel nostro esempio 2015), rinviando il recupero delle ulteriori al successivo periodo di imposta (violando però il meccanismo di scomputo per competenza).
E cosa accade se questi controlli debbono essere effettuati dal soggetto che appone il visto di conformità? Le check list della circolare 28/E/2014 sembrerebbero imporre unicamente il riscontro tra importo detratto e certificazioni presenti; ma tale situazione potrebbe per nulla coincidere con quanto sopra rappresentato.
Così, ci troveremmo nella assurda situazione in forza della quale:
- il contribuente deve utilizzare un criterio per adempiere ad una norma di legge;
- il professionista vistatore sembra dover utilizzare un differente criterio, con conseguente disallineamento cronico con il risultato della liquidazione del tributo.
A parere di chi scrive, non resta che utilizzare un criterio di buon senso, in quanto qualsiasi strappo alle regola potrebbe essere strumentalmente interpretato al fine di sanzionare il contribuente: al fine di evitare inutili contestazioni, si potrebbe affermare che il contribuente abbia l’obbligo di scomputare le ritenute subite e certificate relative ai redditi dichiarati per competenza, mentre di fatto possa esercitare una facoltà per lo scomputo delle ritenute eccedenti che, inevitabilmente, saranno recuperate l’annualità successiva, in concomitanza con la certificazione.
Ci rendiamo conto che la soluzione proposta non può essere tecnicamente corretta al 100%, ma ci pare che sia l’unica via d’uscita proponibile per evitare inutili loops: consentire contestazioni del tutto infondate oppure mettere in difficoltà il soggetto vistatore.
Ovvio, però, che una tale prassi dovrebbe essere avvalorata dall’Agenzia delle entrate: qualcuno si sente di proporre un interpello?