Compilare il modello IRAP non significa dover pagare il tributo
di Giovanni Valcarenghi
Negli ultimi giorni prima dell’invio delle dichiarazioni possono sorgere dubbi in merito al comportamento da tenere in relazione ai soggetti per i quali si ritiene non sussistere la soggettività passiva IRAP; si pensi al caso di un lavoratore autonomo, di un agente di commercio o di un piccolo imprenditore in genere.
sentenza 3045, depositata dalla
CTR di Milano lo scorso
10 giugno 2014 ci fornisce l’occasione di rammentare i tratti salienti della vicenda.
semplice concetto: chi ritiene di
non essere soggetto passivo
non deve compilare il modello IRAP. Tuttavia, possiamo aggiungere che
la giurisprudenza è spesso giunta alla conclusione che la
compilazione del modello, effettuata sul presupposto (errato) che non si potesse omettere il medesimo,
non rappresenta “confessione” di soggettività passiva, ben potendosi dimostrare la carenza dei presupposti impositivi.
riteneva escluso da IRAP,
compilava il modello ma
non versava il tributo. Alla ricezione della cartella esattoriale (derivante dalla attività di liquidazione del modello) faceva valere le proprie ragioni ottenendo, però, un diniego al ricorso dalla Commissione Provinciale. Non si dava per vinto e appellava la sentenza di primo grado, al fine di farsi riconoscere il diritto a non pagare il tributo.
parere della CTR è stato tranciante: la semplice compilazione del modello non crea la soggettività passiva del contribuente che, per conseguenza
può impugnare la cartella esattoriale anche se esente da vizi propri,
invocando la illegittimità della iscrizione a ruolo. Aggiungono, i Giudici, che tale ragionamento è
rafforzato dalla circostanza che il
periodo di imposta oggetto di contestazione è il
2008, anno nel quale
la compilazione del quadro RE obbligava alla compilazione del modello IRAP, come a dire che la stessa procedura predisposta dall’amministrazione finanziaria risultava fallace e poteva indurre in errore il contribuente.
scesi nel merito della vicenda, poiché l’Amministrazione contestava il fatto che il contribuente fosse in realtà dotato della organizzazione necessaria a far pagare il tributo regionale; ciò, sulla base del fatto che – come confermato nella sentenza di primo grado – erano posseduti beni
strumentali per un valore di circa 6.700 euro, uno
studio di 15 metri quadrati (dato acquisito dal modello degli studi di settore) ed una
capacità di acquisire la clientela che faceva ritenere presenta una organizzazione. Inoltre, veniva anche contestato che l’esistenza di un rapporto con una associazione di categoria denotava la presenza di una organizzazione indirettamente utilizzata dal soggetto.
compensi di circa 90.000 euro a fronte di costi di circa 3.000 euro. Basterebbe già questo per comprendere che
manca qualsiasi tipo di struttura, essendo ovviamente minimale la dimensione dei costi che rappresentano, normalmente, un indice inequivoco della presenza della stessa. Che poi 6.700 euro siano un valore non proprio minimale di beni ammortizzabili, è cosa che fa davvero sorridere (si consideri che il valore comprende anche un’auto).
Regionale riporta tutto sulla retta via. Infatti, dalla
documentazione prodotta dal contribuente (quadro E, modello studi di settore, libro beni ammortizzabili, dichiarazione di svolgimento di attività presso associazione di categoria, assenza di lavoro altrui) si
evince proprio l’assenza di quegli elementi che fanno risultare esistente una sia pur minima organizzazione e, per conseguenza, nulla è dovuto a titolo di IRAP.
via libera sull’impugnativa della cartella e via libera sui mezzi di prova per dimostrare l’assenza della organizzazione.
prova della esistenza della organizzazione graverebbe sull’Ufficio ove il contribuente non compili il modello; in casi come quello della vicenda in analisi, invece, la compilazione c’è e, per conseguenza, si ribalta l’onere della prova.