Con la circolare 12/E l’Agenzia ritorna sull’ACE
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
Con estrema calma rispetto all’entrata in vigore della norma e, soprattutto, alle scelte che nel frattempo i contribuenti hanno posto in essere nelle annualità passate, l’Agenzia delle Entrate ha finalmente ritenuto “maturi” i tempi per fornire i primi rilevanti chiarimenti in materia ACE, contenuti nella circolare n. 12 del 23 maggio 2014. Potrebbe sembrare uno scherzo l’arrivo di una circolare con anni di ritardo ma (purtroppo) non lo è e peraltro ciò non dovrebbe nemmeno destare troppa meraviglia nel nostro disastrato e ormai “folcloristico” sistema fiscale.
Nel documento di prassi, seppur con una frase sibillina ed in riferimento ad una specifica casistica, quanto meno si è avuto il buon senso di asserire che se la correzione è pro-fisco, non vi saranno sanzioni attese le condizioni di obiettiva incertezza applicativa. Questo significa che coloro che eventualmente dovranno correggere mediante la dichiarazione integrativa Unico 2013, non dovranno procedere al versamento delle sanzioni collegate al ravvedimento operoso. Ed a prescindere che non sia dedicato tanto spazio a tale fondamentale assunto, si rammenta che è proprio in linea generale, ex articolo 6, comma 2, del D. Lgs. 472/97, che in tali situazioni di incertezza le sanzioni sono ritenute non applicabili.
Restando in tema, è opportuno altresì ricordare che in caso di rettifiche ACE a favore del contribuente, la dichiarazione integrativa a favore (almeno stando al parere del fisco) non può essere effettuata nel c.d. “termine lungo”. Sembra pertanto inevitabile dover procedere mediante adeguate istanze di rimborso, che dovranno “passare” il vaglio dell’Ufficio competente e, in caso di silenzio-rifiuto, addirittura approdare in contenzioso (salvo, in forza degli importi magari non rilevanti, decidere di soprassedere per evitare antieconomicità nel dispendio del tempo da impiegare; trattasi di una soluzione di “sopravvivenza”, ma che rende la misura dell’ormai cronica mancanza di rispetto del contribuente).
I primi chiarimenti sono forniti in ambito soggettivo. La circolare n. 12 evidenzia come l’ACE sia fruibile anche dalle società estere che hanno trasferito la propria residenza in Italia: in particolare, a partire dal periodo d’imposta in cui la società assume la qualifica di soggetto residente ai sensi dell’articolo 73 del TUIR, sarà possibile fruire dell’agevolazione, applicando tutte le regole (comprese le disposizioni antielusive) e considerando tutti gli incrementi e decrementi di capitale proprio realizzati a partire dall’esercizio in corso al 31 dicembre 2011. Per i soggetti in procedura concorsuale, invece, il documento di prassi “premia” l’intento dell’agevolazione, sottolineando che la stessa resta applicabile in tutti i casi in cui l’amministrazione straordinaria risulti finalizzata al risanamento della società.
Sul fronte oggettivo, la prima importante puntualizzazione riguarda le società di comodo ed il relativo reddito minimo, che come chiarito in altre occasioni deve essere ridotto delle eventuali agevolazioni fiscali spettanti. Nel rispetto di tale falsariga, si afferma che le società risultanti di comodo, nell’ipotesi in cui registrino una variazione patrimoniale rilevante ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, potranno ridurre il reddito minimo dichiarato per un importo pari al rendimento nozionale del capitale proprio.
Anche la determinazione della base imponibile su cui calcolare l’ACE è interessata da diversi chiarimenti. È noto che per l’agevolazione vi sia l’esigenza di ragguagliare alla durata del periodo d’imposta i conferimenti in denaro, mentre per quanto concerne la rilevanza degli utili, sia gli incrementi di base ACE, sia i relativi decrementi per distribuzione degli utili stessi, si computano a partire dall’inizio dal periodo d’imposta in cui si sono formati.
La circolare n. 12 rammenta in maniera puntuale, in particolare, che la distribuzione di riserve di utili assume rilievo quale riduzione del capitale proprio a partire dall’inizio del periodo d’imposta in cui la stessa viene assunta ed offre in merito un esplicativo esempio: soggetto con delibera di distribuzione della riserva straordinaria assunta il 22 dicembre 2012 ed operata materialmente con l’erogazione dei dividenti ai soci nel 2013. In tale situazione, il decremento del capitale proprio avrà effetto sin dal 1° gennaio 2012 in quanto si tratta del periodo d’imposta in cui è stata assunta la delibera di distribuzione degli utili.
È poi fatta una precisazione importante circa la riportabilità illimitata delle eccedenze di rendimento nozionale, collegata all’uso obbligatorio dell’ACE fino a concorrenza del reddito complessivo netto del periodo d’imposta cui si riferisce: il fisco infatti sottolinea come le quote di ACE non utilizzate non potranno essere riportate nei periodi d’imposta successivi.
Altro punto delicato è il corretto calcolo dell’ACE nei periodi d’imposta non coincidenti con l’anno solare. L’amministrazione finanziaria evidenzia che gli aumenti di capitale deliberati dopo il 31 dicembre 2010 sono, nella sostanza, quei conferimenti le cui delibere sono assunte a far data dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011, ossia, a partire dal primo periodo d’imposta di applicazione dell’ACE. Anche in merito è fornito un esempio esplicito: nuova società costituita, in virtù di un conferimento in denaro, nell’ottobre 2010 il cui primo esercizio sociale si è prolungato fino al 31 dicembre 2011. In tal caso, il primo periodo di vita della società era “in corso al 31 dicembre 2011” e le norme in tema di ACE già producevano i propri effetti; per cui, il periodo che va da ottobre 2010 al 31 dicembre 2011 rappresenta l’esercizio di prima applicazione dell’ACE.
Ovviamente, la non coincidenza del periodo d’imposta con l’anno solare richiede la corretta determinazione del rendimento nozionale e la circolare n. 12 del 2014 offre due formule con cui procedere a seconda delle circostanze. In linea generale, per la corretta determinazione dell’agevolazione ACE è necessario effettuare il seguente calcolo: (INCREMENTO DI CAPITALE PROPRIO) x (GIORNI DI DURATA DEL PERIODO D’IMPOSTA/365).
Inoltre, per quanto attiene ai conferimenti in denaro e al relativo ragguaglio, lo stesso deve essere operato tenendo conto del lasso temporale intercorrente tra la data del conferimento e la chiusura dell’esercizio e tenendo, comunque, conto della durata complessiva dell’esercizio stesso. In sostanza, il risultato della precedente formula deve essere ulteriormente moltiplicato per il seguente rapporto: (giorni dal versamento al termine del periodo d’imposta)/(giorni di durata effettiva del periodo d’imposta).
Altra puntualizzazione importante, seppur evidentemente tardiva, riguarda le casistiche in cui l’assemblea, con apposita delibera, abbia dato facoltà di aumentare il capitale al consiglio di Amministrazione ovvero, al consiglio di gestione, prima del 2011, con successive deliberazioni da parte di questi ultimi: solo oggi l’Agenzia afferma che in tali ipotesi l’agevolazione sia spettante, atteso che il processo deliberativo può dirsi compiuto solo nel momento in cui il consiglio di amministrazione ovvero il consiglio di gestione abbia deliberato le caratteristiche dell’aumento di capitale.
Gli ultimi chiarimenti riguardano le disposizioni antielusive e l’utilizzo dell’ACE sia nell’impresa familiare che nel consolidato.
Circa le disposizioni antielusive, il documento di prassi rammenta come il meccanismo di neutralizzazione dell’ACE agisce, di regola, sulle società che operano gli investimenti idonei a generare la moltiplicazione del beneficio. Allo stesso tempo, però, è possibile per detti soggetti dimostrare l’assenza dell’effetto moltiplicativo, mediante interpello disapplicativo. L’agenzia richiama al riguardo l’esempio di un soggetto che ha realizzato un incremento di capitale proprio nel periodo d’imposta 2011 – generato unicamente dall’utile non distribuito conseguito nell’esercizio 2010 – e che ha trasferito ad una società del gruppo una somma di denaro mediante una delle operazioni oggetto delle disposizioni antielusive. In tal caso, se il contribuente non ha ricevuto alcun conferimento in denaro e alcun prestito da parte di un soggetto del gruppo di una somma che, prima di essere prestata a quest’ultimo, abbia aumentato il capitale proprio di un’impresa del gruppo mediante conferimento, non si genera alcun effetto elusivo. O ancora, le ulteriori ipotesi possono riguardare i crediti di finanziamento. Infatti, la circolare n. 12 evidenzia che potranno trovare accoglimento le istanze di disapplicazione, adeguatamente motivate e corredate da opportuna documentazione, che dimostrino come a seguito dell’incremento dei crediti da finanziamento il contribuente ricevente non abbia operato alcun conferimento dei crediti ad altro soggetto del gruppo ovvero alcun ulteriore finanziamento ad altri soggetti del gruppo (che abbiano a loro volta operato dei conferimenti).
Per le imprese familiari, l’Agenzia non solo afferma che il rendimento nozionale ACE deve essere ripartito fra imprenditore e familiari in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al reddito, ma illustra anche la modalità di compilazione di Unico 2014, quadro RS, evidenziando in particolare che nel rigo RS37, il rendimento nozionale complessivo, riportato alla colonna 8, è suddiviso nella colonna 9 quale quota del rendimento nozionale ceduto ai familiari ed in colonna 11 quale importo di spettanza dell’imprenditore. Inoltre, nell’ipotesi in cui la quota di colonna 11 sia superiore al reddito imponibile attribuito all’imprenditore emergerà un’eccedenza riportabile dallo stesso nei periodi d’imposta successivi.
Infine è affrontata la fruizione dell’ACE da parte delle società ed enti che partecipano al consolidato nazionale. Come è noto, l’eventuale eccedenza di agevolazione ACE rispetto all’importo determinato dalla singola società è trasferita alla fiscal unit, nei limiti di quanto trova capienza a livello di gruppo, ed è ammessa in deduzione dal reddito complessivo globale netto di gruppo fino a concorrenza dello stesso. Ciò posto, l’Agenzia afferma che l’eccedenza non trasferita, in quanto non trova capienza a livello di gruppo, risulterà riportabile nei periodi d’imposta successivi dalle singole società che compongono il consolidato fiscale, e potrà essere trasferita nuovamente nei periodi d’imposta successivi alla fiscal unit. Inoltre, l’attribuzione di dette eccedenze alla fiscal unit deve avvenire in via obbligatoria ed in misura pari alla capienza del reddito complessivo netto del gruppo, mentre le eccedenze non trasferite, nell’ipotesi in cui vi sia capienza a livello di gruppo, non potranno essere riportate nei periodi d’imposta successivi dalle società appartenenti al consolidato. Ciò al fine di equiparare la posizione del consolidato a quella di chi non esegue l’opzione, impedendo illegittimi risparmi fiscali.