Concordato preventivo approvato dai creditori e condotta fraudolenta del debitore
di Luigi Ferrajoli
Con la sentenza n. 14552 del 26/6/2014, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha statuito che l’occultamento o la dissimulazione dell’attivo da parte di una società determina sempre la revoca dell’ammissione al concordato preventivo.
Nel caso in esame il Tribunale di Busto Arsizio con la sentenza emessa in data 19 giugno 2012 aveva dichiarato il fallimento di una società dopo aver rigettato la domanda di ammissione al concordato preventivo presentata dalla medesima.
La fallita ha proposto reclamo avverso a tale provvedimento che veniva rigettato dalla Corte d’appello di Milano. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto fraudolento il comportamento della debitrice, ai sensi dell’articolo 173 L.F., in quanto la stessa aveva mantenuto il silenzio sia su una rilevante distribuzione degli utili, avvenuta molto tempo prima del deposito della richiesta di ammissione al concordato, sia in ordine ad una transazione intervenuta per definire un contenzioso in corso; inoltre non aveva menzionato, nella relazione sulla propria situazione patrimoniale, l’esistenza di due crediti vantati dalla medesima. I creditori erano stati informati di tutte queste circostanze solo tre giorni prima dell’adunanza dei creditori, ex articolo 174 L.F., attraverso la relazione del commissario giudiziale.
Tale atteggiamento è stato considerato dalla Corte d’appello come ostativo al consenso dei creditori ed inoltre lo stesso organo giudicante ha ravvisato atti fraudolenti in capo alla debitrice, idonei a determinare la revoca del concordato preventivo, ai sensi dell’articolo 173 L.F.
La società fallita ha proposto ricorso per Cassazione avverso a tale sentenza, eccependo la violazione dell’articolo 173 L.F., in quanto la definizione transattiva di una controversia non poteva essere considerata frode ai creditori se questi ultimi erano stati edotti di tale azione. Infatti, secondo la tesi di parte ricorrente, il concordato preventivo ha natura contrattuale ossia è l’espressione di un accordo riconducibile all’autonomia negoziale e, come tale, risulta insindacabile dal giudice che ha accertato la completa conoscenza da parte dei creditori della situazione patrimoniale della debitrice.
Secondariamente la fallita ha eccepito che la distribuzione degli utili, l’accordo transattivo e l’omessa inclusione nella situazione patrimoniale di crediti contestati non possono essere considerati “altri atti di frode” così come disciplinati dall’articolo 173, comma 1, L.F.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e, riprendendo le argomentazioni già dedotte con la sentenza n. 1521 del 2/1/2013 emessa dalle Sezioni Unite, ha affermato che i connotati di natura negoziale riscontrabili nella disciplina dell’istituto del concordato preventivo non escludono “evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici, suggeriti dall’avvertita esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condiva approvazione, ed attuati mediante la fissazione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell’accordo tra debitore e creditori, nonché con il potenziamento dei margini di intervento del giudice in chiave di garanzia”.
Ne consegue che la revoca del concordato preventivo per avere il debitore occultato o dissimulato parte dell’attivo, per avere dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, per avere esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, così come prevista dall’articolo 173 L.F., deve essere contemplata negli interventi di garanzia da parte del giudice e non può essere riconducibile semplicemente all’autonomia negoziale.
Infatti l’accertamento da parte del commissario giudiziale dell’esistenza di atti fraudolenti quali l’occultamento o di dissimulazione dell’attivo, la dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, l’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode commessi dal debitore, comporta necessariamente il potere-dovere del giudice di revocare l’ammissione al concordato preventivo della società, a norma dell’articolo 173 L.F., indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e quindi anche nel caso in cui i creditori siano stati edotti di tali situazioni.
Pertanto l’occultamento o la dissimulazione dell’attivo da parte della società debitrice determina sempre da parte del giudice la revoca dell’ammissione al concordato preventivo: ciò che rileva infatti è il comportamento fraudolento del debitore, non l’effettiva consumazione della frode.