Condono e recupero del credito d’imposta: si esprimono le SS.UU.
di Luigi FerrajoliCon l’ordinanza n. 25092 del 7.12.2016 la Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente gli atti di un’impugnazione promossa da una società nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per la valutazione dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. L’oggetto della remissione riguardava gli effetti del perfezionamento del c.d. condono tombale fruito ai sensi dell’articolo 9 L. 289/2002.
Il giudizio muoveva dall’impugnazione da parte della Società di un atto di recupero con cui l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione un credito d’imposta utilizzato dalla contribuente in compensazione nelle annualità accertate.
Con il ricorso di legittimità la società aveva eccepito la violazione della norma premiale per avere la CTR erroneamente escluso l’efficacia preclusiva del condono anche per quanto concerne l’accertamento dell’insussistenza di crediti ed agevolazioni; non potendosi dubitare del fatto che l’avviso di recupero del credito in oggetto avesse sostanza di avviso di accertamento relativo ad un rapporto fatto oggetto di definizione agevolata.
L’articolo 9, infatti, al comma 9 prevede che: “la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni. (…) La definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti …“.
Il successivo comma 10 prevede quale effetto del perfezionamento della definizione agevolata specificatamente: “la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario“.
Sulla base di ciò la società contribuente riteneva illegittimo l’accertamento operato dall’Ufficio che andava a riaprire una materia ormai definita dal condono tombale.
La materia ha imposto ai Supremi giudici di ripercorrere gli approdi interpretativi della giurisprudenza nazionale sul punto.
In particolare, secondo la Corte, sebbene il dato testuale delle succitate norme parrebbe accreditare l’interpretazione secondo cui l’adesione al condono riguarderebbe – con effetto preclusivo generale – l’intera posizione tributaria relativa al periodo di imposta definito (dunque comprensiva non solo dei debiti del contribuente verso l’Amministrazione finanziaria, ma anche dei crediti da lui esposti), la prevalente giurisprudenza di legittimità ha però ritenuto di dover accogliere una diversa interpretazione, in base alla quale il condono precluderebbe l’azione di accertamento unicamente per i debiti tributari, non anche per i crediti; il recupero dei quali da parte dell’Amministrazione finanziaria sarebbe sempre ammesso per la sua integralità.
Tale orientamento – finalizzato a contrastare l’uso strumentale del condono in ambito IVA – è stato espresso dapprima in seno alle sezioni semplici della Suprema Corte e successivamente consacrato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 14828/2008 cui hanno fatto seguito diverse pronunce conformi delle sezioni semplici.
Sennonché nel 2016 la Cassazione con la sentenza n. 3112 del 17.02.2016 ha aperto un contrasto all’interno della sezione tributaria in ordine al rapporto tra condono tombale ed agevolazioni. In particolare, la citata pronuncia statuendo in tema di investimenti in zone svantaggiate ha stabilito il principio per cui “il condono di cui alla L. 289 del 2002, articolo 9 elide i debiti del contribuente verso l’Erario, comportando la preclusione nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati di ogni accertamento tributario, con conseguente illegittimità di ogni attività accertatrice, ivi compresa quella di recupero del credito d’imposta, ai sensi della L. 289 del 2002, articolo 9, comma 10“.
Si osserva, nella sentenza da ultimo citata che “non convince pertanto il recente contrario orientamento per cui, nonostante la preclusione a rimettere in discussione le agevolazioni coperte da condono, il credito d’imposta previsto dall’ articolo 8 L. 388 cit. possa esser revocato con un atto d’accertamento di maggior imposta (Cass. sez. trib. n. 2597 del 2014). Il ridetto orientamento sembra in effetti negare la possibilità, che è invece espressamente riconosciuta dalla legge, di condonare la materia delle agevolazioni fiscali. In realtà il rammentato contrario orientamento solo in apparenza si conforma ad altri ivi richiamati precedenti, giacchè in quelle altre occasioni la fattispecie divisata dalla Corte era quella ben diversa di un credito d’imposta IVA illegittimamente compensato a causa dell’inesistenza delle operazioni e non riguardava invece, come nel presente, un credito d’imposta generato da un’agevolazione che la legge espressamente prevede come condonabile (Cass. sez. trib. n. 18942 del 2010; Cass. sez. trib. n. 5586 del 2010)“.
Quest’ultimo – antitetico – indirizzo è stato ripreso dalla Cassazione con la sentenza n. 16186 del 3.08.2016 secondo cui: “in materia di accertamento, il credito d’imposta, conseguente all’agevolazione L. 388 del 2000, ex articolo 8, può essere oggetto di definizione automatica L. 289 del 2002, ex articolo 9, comma 9, sicchè, ove sia stato effettivamente indicato nella richiesta di condono, il cui importo sia stato versato, ne è precluso all’Amministrazione finanziaria il recupero in virtù dello stesso articolo 9, comma 10, lett. a)”.
Riconoscendo l’evidente contrasto interpretativo, la sezione tributaria ha deciso per la remissione della questione alla valutazione delle Sezioni Unite delle quali si attende, dunque, l’intervento dirimente.
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