Conferimento di partecipazioni a “realizzo controllato” e le novità della delega fiscale
di Fabrizio RicciGianluca CristoforiIn linea generale, nell’ambito delle imposte sui redditi, il conferimento di beni (comprese le partecipazioni sociali) è assimilato a una cessione a titolo oneroso e si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni conferiti, ai sensi dell’articolo 9, commi 2 e 5, Tuir.
In parziale deroga al predetto regime “naturale”, gli articoli 175 e 177 Tuir prevedono un regime di cd. “realizzo controllato”, che non delinea un regime di neutralità fiscale delle operazioni di conferimento ivi regolate, ma che presuppone, ai fini della determinazione del reddito della conferente, l’adozione di un criterio convenzionale di valutazione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento.
Tale regime è stato più di recente esteso – attraverso l’introduzione del nuovo comma 2-bis, dell’articolo 177, Tuir (ad opera del D.L. 34/2019) – anche ai casi in cui la società conferitaria non acquisisce, né incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, il controllo della target, purché “[…] ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni:
a) le partecipazioni conferite rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni;
b) le partecipazioni sono conferite in società, esistenti o di nuova costituzione, interamente partecipate dal conferente”.
L’applicabilità del “regime di realizzo controllato”, nel caso in cui l’incremento patrimoniale registrato dalla conferitaria sia inferiore al costo delle partecipazioni fiscalmente riconosciuto in capo alla conferente, è stata oggetto di ondivaghe interpretazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria. Dapprima, con la risoluzione n. 38/E/2012, era stato affermato che l’incremento patrimoniale registrato dalla conferitaria (inferiore al costo fiscalmente riconosciuto in capo alla conferente) non determinerebbe l’inapplicabilità del regime “di realizzo controllato”, bensì l’indeducibilità della minusvalenza così realizzata, ove non assistita anche da un’effettiva corrispondente perdita in termini di valore normale.
Dopo quasi un decennio, la stessa Agenzia delle entrate (Principio di diritto n. 10/2020) ha diversamente affermato che “[…] il criterio di valutazione previsto dall’articolo 177, comma 2, connesso esclusivamente alla contabilizzazione dell’operazione effettuata dalla società conferitaria (i.e. aumento di patrimonio netto effettuato dalla conferitaria per effetto del conferimento), trova applicazione solo se dal confronto tra il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione conferita e la frazione di incremento di patrimonio netto della società conferitaria emerge una plusvalenza in capo al soggetto conferente […]”, lasciando intendere che, in caso contrario (ovverosia, in ipotesi di conferimento “minusvalente”), si sarebbe dovuto applicare il regime ordinario del realizzo “a valore normale”.
La formulazione del documento di prassi aveva, quindi, destato non poche preoccupazioni tra gli operatori, con particolare riguardo per quei casi in cui non fosse di immediata ricostruzione il costo fiscalmente riconosciuto in capo al conferente. Le conseguenze, infatti, in termini di carico impositivo connesso a un conferimento di partecipazioni rivelatosi “minusvalente”, avrebbero potuto essere potenzialmente “catastrofali”, dovendosi determinare la plusvalenza, in ragione del valore normale delle partecipazioni conferite.
Sul tema, tuttavia, sono giunte rassicurazioni – forse anche stimolate dalla delega per la riforma fiscale – con la risoluzione n. 56/E/2023, nel contesto della quale, riprendendo le considerazioni esposte nella precedente risoluzione n. 38/E/2012, l’Amministrazione finanziaria ha meglio chiarito la propria linea interpretativa. È stato, in particolare, affermato che “[…] i commi 2 e 2-bis dell’art. 177, del Tuir si applicano nelle sole ipotesi di conferimenti di partecipazioni il cui valore normale sia superiore al relativo valore fiscale. Pertanto, nel caso in cui dovesse verificarsi la condizione sopra esposta, ma il costo fiscale della partecipazione conferita dovesse essere maggiore dell’incremento di patrimonio netto effettuato dalla società conferitaria (cd. conferimento minusvalente), tale circostanza non determinerà l’applicazione delle regole di determinazione del reddito previste dall’articolo 9 del Tuir in capo al soggetto conferente. In altri termini, la differenza (negativa) tra il minor valore della partecipazione ricevuta dal conferente, successivamente all’operazione di conferimento, rispetto al valore fiscale della partecipazione conferita, comporta comunque l’applicazione dei commi 2 e 2-bis, dell’articolo 177, del Tuir, ma non consente al conferente di dedurre la minusvalenza”.
Accolto con favore il contenuto di tale ultimo orientamento, resta da chiarire quale sarebbe, in caso di conferimento minusvalente, il costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni conferite (in capo alla conferitaria) e di quelle ottenute “in cambio” (in capo alla conferente). Acclarata, infatti, l’indeducibilità in capo alla conferente della minusvalenza realizzata in applicazione del regime di “realizzo controllato” (ove non assistita anche da un’effettiva corrispondente perdita in termini di valore normale), ci si chiede se:
- la conferitaria possa ereditare o no il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione in capo alla conferente, o se lo stesso debba essere, invece, pari al minor incremento patrimoniale registrato in sede di conferimento, con conseguente “distruzione” di una parte del costo fiscale della partecipazione;
- se il costo delle partecipazioni conferite, realizzato dal conferente per effetto dell’operazione, possa “trasporsi” per pari ammontare sulla partecipazione ottenuta “in cambio”, stante l’indeducibilità della minusvalenza realizzata, “distruggendosi” altrimenti, allo stesso modo, una parte del costo fiscale della partecipazione oggetto di conferimento.
In altre parole, è necessario chiarire se, una volta disconosciuto fiscalmente il realizzo di una minusvalenza determinata con il criterio convenzionale previsto dall’articolo 177, Tuir, l’operazione mantenga, a tutti gli effetti, natura “realizzativa”, oppure possa essere valorizzato tale mancato “realizzo” (rectius “riconoscimento fiscale” della minusvalenza), andando a garantire la conservazione del costo fiscale originario e, quindi, in ultima istanza, anche il rispetto del principio di divieto di doppia imposizione, di cui all’articolo 163, Tuir.
Le questioni tecniche appena segnalate potrebbero essere affrontate nell’ambito della riforma fiscale: l’articolo 6, comma 1, lett. f), L. 111/2023, prevede, infatti, anche la sistematizzazione e la razionalizzazione della disciplina dei conferimenti di azienda e degli scambi di partecipazioni mediante conferimento. In particolare, la riforma fiscale potrebbe essere l’occasione per:
- recepire, anche normativamente, la posizione da ultimo formalmente assunta dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 56/E/2023 (se del caso, con una norma di interpretazione autentica);
- prevedere espressamente che, ove fosse disconosciuto fiscalmente il realizzo di una minusvalenza determinata con il criterio convenzionale previsto dall’articolo 177, Tuir, a tale mancato “riconoscimento” venga accompagnata la conservazione del costo fiscale della partecipazione, in capo alla conferente e alla conferitaria.