Il conferimento del fondo in godimento
di Luigi ScappiniIn un precedente intervento ci siamo occupati di verificare se il conferimento di un terreno agricolo in una società rappresenti o meno un’operazione che rende azionabile, da parte del coltivatore diretto e/o dello Iap (imprenditore agricolo principale), il diritto, a loro riconosciuto, della cd. prelazione agraria, consistente nella facoltà di sostituirsi al promesso acquirente del fondo, alle medesime condizioni economiche, giungendo a negare tale possibilità.
Il conferimento del terreno in società pone, tuttavia, ulteriori possibili problematiche, consistenti, in ipotesi di terreno per il quale si sia fruito dell’agevolazione in ambito di imposta di registro riservata ai soli coltivatori diretti e Iap, nel venir meno della stessa in caso di operazione intercorsa nel periodo quinquennale di monitoraggio.
Infatti, il Legislatore, per arginare possibili utilizzi distorti dell’istituto, che si ricorda consiste nell’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa rispetto all’ordinaria, elevata, con decorrenza 1° gennaio 2016 al 12%, ne ha previsto la decadenza nel caso di venir meno dei requisiti richiesti (possesso e conduzione) prima che siano decorsi 5 anni dall’acquisto.
In ragione di ciò, nella prassi operativa, a volte si è bypassato il problema optando per la concessione in godimento dei terreni in ragione del conferimento, mantenendo in questo modo la titolarità.
Tuttavia, anche in questo secondo caso sorgono alcune problematiche connesse con la particolarità del mondo agricolo e, nello specifico, con le norme di cui alla L. 203/1982 con cui è stato effettuato il riordino e la razionalizzazione dei contratti riconducibili all’agricoltura.
In particolare, quello che preme verificare è la possibile applicabilità del principio di riconduzione di cui all’articolo 27, L. 203/1982 al caso di specie della concessione in godimento del fondo.
Ai sensi del richiamato articolo “Le norme regolatrici dell’affitto dei fondi rustici si applicano anche a tutti i contratti agrari … aventi a oggetto la concessione di fondi rustici o tra le cui prestazioni vi sia il conferimento di fondi rustici”.
L’applicabilità dei principi sopra richiamati, e quindi delle regole proprie dei contratti agrari, comporterebbe una conseguenza di non poco conto nel caso in esame, infatti, il socio conferente avrebbe diritto, in ragione della natura del conferimento, a una rendita commisurata al canone di affitto, dovendo, eventualmente apportare altri beni e o servizi per poter “accedere” all’erogazione di utili.
Anche in questo caso, tuttavia, la soluzione cui si deve giungere è negativista, in quanto, in primis, in sede di analisi bisogna avere a mente la ratio ispiratrice della riforma attuata con la L. 203/1982 il cui fine, come noto, è stato quello di procedere a una razionalizzazione e uniformità della disciplina inerente tutte quelle forme contrattuali, che nell’agricoltura erano copiose, in cui la causa era la concessione del fondo agricolo a fronte dell’erogazione di un corrispettivo per l’esercizio dell’attività agricola.
Ecco che allora, se si ha a mente le ragioni che, ai sensi dell’articolo 2247, cod. civ., sottendono la stipula di un contratto di società, consistente non in un contratto di scambio quale è la locazione, bensì in una comunione di scopo al fine di esercitare delle attività in comune per ottenere degli utili. È di tutta evidenza come la concessione del godimento del fondo non sia in alcun modo riconducibile a una locazione.
L’affitto di fondo rustico ha il fine di concedere la possibilità di esercitare l’attività agricola sul fondo, mentre il contratto di società ha lo scopo ultimo di dividere gli utili derivanti dall’esercizio dell’attività agricola.
In altri termini, la negazione della riconduzione ex articolo 27, L. 203/1982 della concessione in godimento di un fondo al contratto di affitto deriva dai principi e dagli scopi differenti che sottendono i due istituti.
Altro caso, non infrequente, è quello di conferimento di azienda agricola che viene condotta su fondi in parte o in tutto in affitto.
In tale fattispecie quello che bisogna domandarsi è se in questo caso sia azionabile il divieto di cui all’articolo 21, L. 203/1982 ai sensi del quale “Sono vietati i contratti di subaffitto, di sublocazione e comunque di subconcessione dei fondi rustici”.
Se così fosse il conferimento dell’azienda sarebbe inibito in quanto non si metterebbe a disposizione del conferitario l’elemento funzionale imprescindibile consistente nel fondo.
Tuttavia, così non è, in primis in ragione dello stesso dato letterale della norma che non contempla l’ipotesi della cessione del contratto e, in subordine, in ragione di un quadro normativo generale che non vieta tale ipotesi.
Ci stiamo riferendo nello specifico al combinato disposto dall’articolo 48, L. 203/1982 e dagli articoli 10 e 12, L. 11/1971 che delineano un quadro, seppur riferito a contesti specifici come ad esempio quello dell’impresa familiare, possibilista della cessione di un’azienda con terreni condotti in affitto.
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