Il confine tra “fabbricato da demolire” e “terreno edificabile”
di Cristoforo FlorioLa sentenza n. 7853 del 20 aprile 2016, pronunciata dalla Corte di Cassazione, ci offre lo spunto per riepilogare lo stato dell’arte in merito alla dibattuta questione concernente la distinzione tra la nozione di “fabbricato da demolire” e quella di “terreno edificabile”.
Il tema riveste una particolare rilevanza non solo con riferimento alle imposte dirette ma anche con riguardo all’imposta sul valore aggiunto e a quella di registro.
Tuttavia, nel presente contributo analizzeremo la questione sotto il profilo dell’imposizione sui redditi e, in particolare, dell’IRPEF dovuta dalle persone fisiche, approfondendo il contenuto dell’articolo 67, comma 1, lett. a) Tuir.
Il punto è il seguente: ai sensi della richiamata disposizione di legge, le plusvalenze realizzate mediante cessioni a titolo oneroso di fabbricati perfezionate oltre il quinto anno dal loro acquisto o costruzione non costituiscono mai redditi tassabili; diversamente, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione sono sempre imponibili ai fini delle imposte sui redditi.
Non di rado è accaduto che l’Amministrazione finanziaria abbia riqualificato un atto di “cessione di fabbricato”, perfezionato oltre i cinque anni dall’acquisto/costruzione, in una “vendita di terreno edificabile”, richiedendo al cedente il versamento delle imposte, con aggravio di sanzioni e interessi, sulla plusvalenza conseguita e da questi non dichiarata nel convincimento di aver posto in essere una cessione di un “edificio” esclusa da IRPEF in quanto eseguita successivamente allo spirare del termine quinquennale.
A corroborare tale posizione vi è la risoluzione 395/E/2008, in cui l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che la cessione di fabbricati ricadenti in un “piano di recupero” che consentiva di sviluppare, in termini di incremento, le cubature esistenti, fosse da riqualificarsi come cessione di terreni edificabili; infatti e secondo tale ricostruzione, l’oggetto della compravendita non sarebbero stati i fabbricati, ormai privi di effettivo valore economico, ma piuttosto l’area su cui i predetti edifici insistevano, considerate le sue potenzialità edificatorie in corso di definizione.
In contrasto con tale interpretazione, la pronuncia della Cassazione citata in apertura del presente contributo ha invece chiarito che, laddove l’oggetto del contratto di compravendita sia un complesso di fabbricati e, perciò, un “terreno già edificato”, tale entità sostanziale non può essere mutata in un terreno suscettibile di potenzialità edificatoria sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera delle parti contraenti. A parere della Suprema Corte resta irrilevante l’elemento della successiva demolizione degli edifici, che è un passaggio futuro e successivo all’atto notarile di trasferimento, oltre che eventuale e rimesso alla potestà di un soggetto (l’acquirente) diverso da quello interessato dall’imposizione fiscale ai fini delle imposte sui redditi relativamente alla plusvalenza (il venditore).
La pronuncia si inserisce in un solco già tracciato da altre pronunce giurisprudenziali; in particolare, la Corte di Cassazione si era già occupata della tematica con la sentenza n. 4150 del 21 febbraio 2014, nella quale si era esaminato il caso di una cessione avente ad oggetto un capannone commerciale censito al catasto fabbricati e destinato alla demolizione, che veniva riqualificata da parte del Fisco in una vendita di area edificabile; al riguardo, i giudici hanno contrastato le tesi dell’Amministrazione finanziaria, ritenendo che l’oggetto del trasferimento fosse indiscutibilmente un edificio, a nulla rilevando che il capannone insorgeva su di un terreno che aveva una ulteriore potenzialità edificatoria o che, in base ad intenzioni delle parti non oggettivamente riscontrate, lo stesso fosse destinato alla demolizione.
Con la sentenza n. 15629 del 9 luglio 2014, la Suprema Corte affrontava il caso di un contribuente che, a seguito della vendita di una casa di civile abitazione con annessa corte coperta e scoperta, si vedeva contestare e rettificare la propria dichiarazione dei redditi in conseguenza dell’omessa indicazione della plusvalenza fiscale derivante dalla suddetta cessione. L’Amministrazione finanziaria, infatti, aveva individuato il reale oggetto della compravendita nell’area di sedime e coltiva del fabbricato, ritenuta particolarmente appetibile per la sua elevata edificabilità residenziale; conseguentemente, l’Ufficio qualificava la vendita come “cessione di area edificabile” piuttosto che come “vendita di edificio”. Al riguardo, la Corte ha confermato il precedente orientamento, chiarendo che la ratio ispiratrice dell’articolo 67 del Tuir è “(…) tesa inequivocabilmente ad assoggettare a prelievo fiscale la manifestazione di forza economica conseguente “all’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” di terreni ovvero, in altri termini, ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che (…) non “in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” dei terreni (…)”.
Sul punto ha fornito il suo contributo anche la giurisprudenza di merito; con la sentenza n. 46 del 1° marzo 2016, la Commissione tributaria provinciale di Bologna ha esaminato il caso della vendita di un fabbricato, il cui contratto preliminare di cessione conteneva alcune pattuizioni che lasciavano presupporre che l’oggetto della compravendita non fosse tanto la cessione del fabbricato ma dell’area di sedime. In particolare, nel caso di specie veniva previsto l’impegno dei venditori “(…) a presentare a proprio nome richiesta di rilascio da parte del Comune di (…) del permesso di costruire avente ad oggetto la completa demolizione del suddetto fabbricato oltre alla successiva costruzione di un nuovo edificio residenziale sull’area sottostante (…)”. Anche in questo caso, i giudici hanno riconosciuto l’irrilevanza della presentazione, da parte del venditore, della domanda di concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell’immobile che, successivamente alla compravendita, era stata volturata in capo all’acquirente, confermando che – nel caso specifico – le parti avevano ceduto un fabbricato e non un terreno edificabile.
In senso conforme si è espressa anche la recente sentenza n. 4697 del 12 settembre 2016 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la quale è stato specificato che “(…) l’oggettiva entità di un fabbricato non può essere mutata (con conseguente incongruenza di ogni diversa riqualificazione), in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria (…)”.
Merita un cenno anche la pronuncia della Commissione tributaria regionale di Bologna (sentenza n. 189 del 26 gennaio 2015), con la quale il collegio giudicante – in relazione alla cessione di un capannone commerciale – ha chiarito che non può aversi riqualificazione giuridica da “cessione di fabbricato” in “cessione di terreno edificabile” a meno che l’Amministrazione finanziaria non dimostri che l’accordo tra le parti contrattuali sia precedente all’inizio del procedimento amministrativo comunale di richiesta di demolizione e ristrutturazione. Occorre inoltre prestare attenzione a due ulteriori elementi: il rispetto delle originarie volumetrie e della sagoma preesistente. Si tratta di dati che, unitamente alle altre circostanze, rappresentano informazioni importanti per contrastare il tentativo di riqualificazione giuridica da parte del Fisco.
Di diverso avviso, invece, la sentenza n. 24799 del 21 novembre 2014, con la quale la Corte di Cassazione ha ritenuto possibile riqualificare un atto di “cessione di edificio” in “vendita di terreno edificabile”.
Giova tuttavia rilevare che la pronuncia in questione è stata dettata relativamente all’imposta di registro e non con riguardo alle imposte sui redditi; in particolare, la questione verteva sull’interpretazione dell’articolo 20 del D.P.R. 131/1986 secondo il quale “(…) l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente (…)”. Sul punto, la Corte ha affermato che l’atto deve esser tassato in ragione degli effetti giuridici che lo stesso oggettivamente produce; nel caso esaminato, la richiesta di concessione edilizia per la costruzione di un nuovo immobile e l’istanza di demolizione del precedente fabbricato consentivano, a parere del collegio giudicante, una riqualificazione dell’atto in “vendita di terreno edificabile”.
Pertanto e alla luce di quanto precede, occorrerà sempre valutare con attenzione le operazioni di cessione di fabbricati che saranno successivamente oggetto di demolizione, dovendosi adottare tutte le cautele contrattuali e amministrative onde evitare il rischio di eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria in merito alla tassazione delle relative plusvalenze immobiliari in capo al venditore.