Confisca per equivalente e fatture per operazioni inesistenti
di Luigi FerrajoliIn materia di reati tributari, di particolare interesse appare la questione connessa alla confisca per equivalente applicabile, con la sentenza di condanna, ai beni nella disponibilità dell’imputato.
Nel caso che ci occupa, il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto appunto detta confisca sui beni di un soggetto che, nella propria qualità di amministratore unico di una società a responsabilità limitata, era stato giudicato colpevole del reato di cui all’art.8 D.Lgs. n.74/00, ossia di emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto alle società utilizzatrici.
In sede di appello la sentenza era stata parzialmente riformata, con concessione della circostanza attenuante di cui al terzo comma del menzionato articolo, rideterminazione della pena e riduzione della confisca.
L’imputato ha dunque proposto ricorso per Cassazione lamentando, tra l’altro, che l’emittente delle fatture può essere oggetto di confisca solo nei limiti del profitto che abbia ottenuto. Nel caso di specie, secondo la ricostruzione del ricorrente, in difetto di qualsivoglia profitto in capo all’imputato stesso, nessuna confisca poteva essere disposta.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15854 depositata in data 14.04.2016, si è dunque pronunciata su tale doglianza, facendo esplicito riferimento a quanto disciplinato dall’art.9, lett. a), del D.Lgs. n.74/00, il quale prevede che, in deroga a quanto previsto dall’art. 110 cod. pen., l’emittente di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 2 del medesimo decreto, ossia nell’utilizzazione di dette fatture.
La Suprema Corte ha dunque affermato con chiarezza che “la confisca per equivalente del profitto di reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti non può essere disposta sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, poiché il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 9 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido solo nei casi di illecito plurisoggettivo (sez. 3 n. 42641 del 2013, Rv 257419 sez 3, n. 48104 del 06/11/2013, Rv. 258052)”.
Su tali basi, i Giudici di legittimità hanno ritenuto di annullare con rinvio la sentenza impugnata “anche in relazione alla disposta confisca per nuovo esame in merito all’applicazione della sanzione de qua in relazione al principio di diritto suesposto (previo accertamento del profitto conseguito dal ricorrente)”.
La Suprema Corte ha quindi demandato al Giudice di merito, in osservanza del principio di diritto sopra richiamato, il compito di accertare quale sia stato il profitto effettivamente conseguito dal soggetto emittente le fatture per operazioni inesistenti e, all’esito di ciò, di procedere ad un nuovo esame in ordine all’applicabilità della confisca per equivalente.
I motivi di interesse della sentenza in esame tuttavia non si fermano qui. La Suprema Corte ha infatti avuto modo di pronunciarsi anche in relazione alla prescrizione del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Secondo la Corte di Cassazione, il reato di cui all’art.8 D.Lgs. n.74/00 deve ritenersi unitario, pertanto, citando propria precedente giurisprudenza (Sez. 3, n. 10558, dep. 07/03/2013, Rv. 254759 e n. 20787 del 2002 Rv. 221978, nonché n. 6264 del 2010, Rv. 24619), il termine di prescrizione del delitto de quo inizia a decorrere, in ragione di tale “unicità”, non dalla data di commissione di ciascun episodio, bensì dall’ultimo di essi, anche nel caso di rilascio di una pluralità di fatture nel medesimo periodo di imposta.
Nel caso di specie, con riferimento al periodo di imposta 2007, essendo stata l’ultima fattura emessa in data 21 dicembre 2007, il Giudice di legittimità ha considerato il termine massimo di prescrizione decorso a far data dal 21 giugno 2015, ossia sette anni e sei mesi dalla commissione del delitto in questione.
Anche per l’ipotesi prescrizionale, dunque, la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare un indirizzo che dirime un possibile dubbio di interpretazione della norma.