Consegna della lettera di licenziamento e prova per testimoni
di Luca VannoniLa comunicazione del licenziamento, obbligatoriamente con atto scritto, spesso viene effettuata con consegna brevi manu al lavoratore: in caso di mancata accettazione dell’atto, in presenza di testimoni, ne viene data lettura, verbalizzando poi quanto avvenuto, e considerando efficace da tale momento il licenziamento. Tale procedura è stata oggetto di una recente sentenza della Corte di Cassazione, 3 giugno 2015, n. 11479, che ne ha evidenziato i rischi.
Il caso riguarda un lavoratore, licenziato per motivi disciplinari in quanto aveva speso il nome dell’azienda spacciandosi presso strutture alberghiere per la persona che, in rappresentanza di essa, era incaricata di organizzare eventi, fatti accertati nei primi due gradi di merito.
Al momento della consegna della lettera di licenziamento, a seguito del rifiuto del dipendente, venne redatto un verbale di avvenuta lettura in presenza di testimoni.
Proprio su questo aspetto, il lavoratore è riuscito ad ottenere l’accertamento della nullità del licenziamento, in riforma dei due gradi di merito che, in sintonia, avevano dichiarato legittimo il licenziamento.
Come è possibile che il lavoratore, negando di aver ricevuto lettura del provvedimento e di essere stato oggetto del tentativo di consegna, sia riuscito a superare la prova testimoniale che, viceversa, attestava il contrario?
La Corte di Cassazione ha ritenuto che il passaggio essenziale da dirimere, più che la veridicità del tentativo di consegna, fosse l’esistenza stessa della lettera di licenziamento in forma scritta. Più precisamente, distingue la forma dell’atto contente la manifestazione di voler recedere dal rapporto, necessariamente scritta, dalla trasmissione concreta dell’atto, che legittimamente può avvenire con consegna a mano.
Il requisito di forma, infatti, rende inammissibile la prova per testimoni dell’esistenza dell’atto ai sensi dell’art. 2725 c.c., norma che esclude tale strumento probatorio in riferimento a contratti o, come in questo caso, atti unilaterali di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità, se non nel caso in cui il documento sia andato perduto senza colpa. Essendo un divieto di testimonianza, è rilevabile anche d’ufficio in ogni grado e stato del giudizio.
La lettera di licenziamento prodotta nel corso del giudizio, con la verbalizzazione dell’avvenuta lettura, non risulta di data certa e, secondo il ragionamento della Cassazione, anche questo passaggio non può essere provato dai testimoni, per le ragioni sopra esposte.
Come conseguenza, l’esclusione della prova testimoniale rende nullo il licenziamento per difetto della forma scritta ex lege.
La nullità per mancanza della forma scritta determina l’applicazione della reintegra, sia nel caso di applicazione dell’art. 18 L. 300/70, sia del D.Lgs. 23/2015 “Tutele Crescenti”.
La questione, anche in passato, era stata oggetto di pronunce della Suprema Corte, con esiti opposti (si veda la Cass. 23061/2007), ma la prospettiva riguardava esclusivamente la legittimità della trasmissione, dando per scontato l’esistenza del documento scritto nella sua materialità.
I principi affermati nella sentenza in commento, pertanto, evidenziano la delicatezza della fase di trasmissione/comunicazione del licenziamento, in quanto, se il datore di lavoro non riesce a provare l’esistenza della lettera di licenziamento, questione non semplice stante l’inammissibilità della prova testimoniale, rischia di essere considerato nullo con l’applicazione della reintegra, sia per l’art. 18 che per le tutele crescenti. In caso di rifiuto alla trasmissione a mano, è opportuno procedere con la notifica mediante servizi postali o ufficiali giudiziari. L’assenza di forma scritta è uno dei casi residuali dell’applicazione della reintegra, circostanza che sicuramente aumenterà le contestazioni su tale aspetto.