La chiave di lettura dell’adeguatezza degli assetti passa necessariamente per una valutazione dell’efficacia, intesa come capacità di gestire le risorse in modo ottimale, ed efficienza, nel senso di garantire che l’impresa raggiunga i suoi obiettivi e possa prevenire eventuali criticità; lettura che necessariamente trova integrazione nel dettato dell’articolo 3, Codice, ove al comma 3 il Legislatore specifica alcuni criteri per definire adeguate le misure e gli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa.
Tuttavia, la lettura della norma rende, altresì, chiara la consapevolezza del Legislatore, derivante dalla complessità e dinamicità dell’attività d’impresa, che il principio dell’adeguatezza degli assetti non possa essere delimitato a priori, ma che debba essere ancorato alla natura e alla dimensione dell’attività d’impresa; criteri che sono, a tal fine, espressamente dettati dall’articolo 2086, comma 2, cod. civ..
In tal senso, quindi, si pone una questione preliminare: se nell’istituire gli assetti, che necessariamente devono essere realizzati anteriormente all’emersione della crisi, l’imprenditore possa applicare anche disposizioni di legge cui non sarebbe tenuto.
La giurisprudenza ha già preso posizione, rilevando come non è “in sé rilevante la circostanza che la società non sarebbe obbligata alla tenuta delle scritture contabili di magazzino considerato il sospetto dell’inadeguatezza del gestionale utilizzato” così che “gli assetti organizzativi e contabili … non solo non hanno comportato una veritiera rappresentazione delle rimanenze di magazzino nei bilanci predisposti … ma anche che … l’inattendibilità si protrae su dati dell’esercizio in corso …” (Tribunale Venezia, Sezione Specializzata in materia di imprese, 11 maggio 2022, Est. Boccuni).
Ne consegue che il contenuto del principio gestorio può prevedere il recepimento di soluzioni normative cui l’imprenditore non sarebbe obbligato, ma che il criterio dell’adeguatezza rende, di fatto, obbligatorio.
Un esempio è dato sia dalla Corporate Sustainability Reporting Directive o CSRD (Direttiva 2022/2464) che dalla normativa sulla responsabilità degli enti ex D.Lgs 231/2001, le quali, peraltro, come si vedrà risultano tra loro collegate.
Una delle principali novità della CSRD consiste nel fatto che le informazioni sulla sostenibilità non saranno più relegate a documenti separati, come i tradizionali bilanci di sostenibilità redatti su base volontaria, ma dovranno essere integrati nella relazione sulla gestione, documento che accompagna il bilancio d’esercizio e che costituisce parte integrante degli obblighi informativi imposti agli amministratori.
Tale impostazione mira a superare la distinzione tra performance economico-finanziaria e impatti ESG e favorisce una gestione aziendale che tenga conto in modo organico dei fattori di rischio e delle opportunità derivanti dalla sostenibilità.
Nel contempo, gli amministratori risultano responsabili di quanto indicato nella relazione sulla gestione per le informazioni non veritiere.
Più in particolare, il Legislatore europeo con la CSRD imporrà alle imprese di grandi dimensioni l’obbligo di integrare le informazioni di sostenibilità nella propria reportistica aziendale, al fine di garantire una trasparenza completa e accessibile in materia ESG e sulle strategie adottate per la loro gestione: le grandi imprese, anche non quotate, saranno obbligate a includere nella propria rendicontazione informazioni relative all’impatto ambientale, sociale e di governance della propria attività, qualora superino alcuni parametri.
Pur essendo non obbligate in modo diretto, anche le PMI non quotate, potranno doversi conformare agli obblighi di sostenibilità. È sufficiente pensare, ad esempio, a società appartenente alla filiera produttiva che richieda certificazioni inerenti alla sostenibilità, la quale dovrà assoggettarsi agli obblighi di sostenibilità per rimanere parte di detta filiera.
Altro esempio è dato dalla normativa dettata dal Legislatore con il D.Lgs. 231/2001. È noto che tale normativa non è prevista come obbligatoria dal Legislatore. Tuttavia, la ivi richiesta predisposizione dell’organigramma e del funzionigramma, costituiscono la base stessa della creazione di un assetto organizzativo ed amministrativo.
Si aggiunga che il codice etico richiesto dal D.Lgs 231/2001 costituisce punto di congiunzione con la CSRD. Infatti, l’ESRS G1-1 – Business conduct – richiede che l’impresa debba comunicare le proprie iniziative per definire, sviluppare e promuovere non solo una cultura di impresa, ma anche politiche relative agli aspetti della condotta dell’impresa stessa.
Trattasi di circostanza che, anche alla luce degli ulteriori principi ESRS G1 “Business conduct”, risulta essere assai contigua a quella espressa dal codice etico di cui al D.Lgs. 231/2001, il quale si colloca ad un livello più alto del modello organizzativo che ispira.
In definitiva, dalla lettura della normativa ex D.Lgs. 231/2001 emerge che i modelli organizzativi c.d. “MOG” altro non sono che l’applicazione dei principi etici contenuti nel codice etico.
Detti principi sono sostanzialmente simili a quelli espressi in materia di sostenibilità dal Legislatore comunitario nella direttiva CSRD, la quale a propria volta richiama quali principi i nuovi standard europei per la rendicontazione societaria di sostenibilità.
Ne consegue, quindi, che il principio di adeguatezza degli assetti non potrà ispirarsi semplicemente alla continuità: dal quadro così delineato pare doversi dedurre che la continuità dovrà essere letta anche alla luce dei principi di sostenibilità.
Con ciò non si intende affermare una conseguente obbligatoria applicazione della rendicontazione di sostenibilità o del modello 231: a parere di chi scrive, appare evidente che sia la rendicontazione di sostenibilità che l’adozione del modello 231 debbano costituire elementi di valutazione ai fini dell’istituzione di adeguati assetti, anche nel caso in cui i parametri per l’obbligatoria adozione degli stessi non siano nel caso specifico presenti.