Continuità e convenienza nel concordato
di Luigi FerrajoliIl concordato preventivo, recentemente oggetto di modifica da parte del Codice della Crisi d’Impresa e d’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), rappresenta una procedura concorsuale a carattere volontario, mediante la quale il debitore sottopone ai creditori una proposta di composizione della propria esposizione debitoria, indicando le forme, le modalità e le tempistiche per la soddisfazione dei creditori.
Ai sensi dell’articolo 84 CCII, l’imprenditore “può proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all’articolo 87, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma”.
Così facendo, la disposizione citata non mira semplicemente ad appagare i creditori nell’ambito del nuovo concordato preventivo in continuità, ma a far ottenere agli stessi il miglior soddisfacimento possibile.
Ebbene, se il soddisfacimento dei creditori deve essere il più vantaggioso rispetto a quello che i medesimi otterrebbero da una procedura essenzialmente liquidatoria – com’è la liquidazione giudiziale (già fallimento) –, è evidente come, ai fini dell’ammissibilità della proposta, il requisito della convenienza non possa mai mancare.
Posto che lo scopo del concordato in continuità aziendale è il recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato, realizzando il soddisfacimento dei creditori in misura anche non prevalente dal ricavato dei proventi che derivano dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale diretta o indiretta, ci si interroga su come il giudizio di convenienza debba essere compiuto in tale contesto.
A tale proposito, interessante appare il richiamo alla sentenza pubblicata il 14 febbraio 2023 dal Tribunale di Tempio Pausania, che ha avuto modo di pronunciarsi proprio in merito al giudizio di convenienza della proposta di concordato preventivo, ritenendo come lo stesso imponga di svolgere un opportuno giudizio comparativo tra la proposta concordataria e l’alternativa fallimentare.
Tale comparazione deve porre a confronto non solo l’ammontare del pagamento concordatario proposto con la sommatoria dei valori di liquidazione ritraibili in sede fallimentare, ma anche gli ulteriori elementi che possono influenzare le condizioni di pagamento e/o il soddisfacimento dei creditori.
Come tale, occorre considerare:
- il grado di certezza e le tempistiche del pagamento dei creditori nelle due ipotesi a confronto;
- i vantaggi, anche non meramente monetari, derivanti ai creditori dalla continuità aziendale nel concordato;
- l’impatto sociale della continuità sul territorio, anche in termini di conservazione dell’occupazione a favore di dipendenti che, nello scenario fallimentare, troverebbero difficilmente un nuovo impiego, nonché su tutti gli altri stakeholders coinvolti, quali i fornitori, imprese comunque interessate, etc.
L’impatto sociale rappresenta quindi evidentemente un fattore da tenere in conto, considerato che lo stesso deve essere inteso anche come conservazione dell’occupazione a favore di dipendenti.
Nel caso analizzato dal tribunale sardo, nonostante la percentuale di soddisfazione riservata ai creditori risultasse assai modesta (nello specifico, era pari all’1%, seppur col vantaggio di non dover attendere tempi lunghi per essere liquidati), il Tribunale ha ritenuto di non poter indagare sulla convenienza economica della proposta, né sulle motivazioni che hanno determinato in concreto i creditori ad esprimere un voto favorevole, dovendo il medesimo solo prendere atto che la percentuale offerta era stata valutata meritevole dai creditori in sede di votazione e che la prosecuzione dell’impresa era “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”. Ciò in quanto la dizione dell’articolo 186 bis L.F. deve essere interpretata alla luce anche dell’articolo 47, lett. b), CCII, il quale, letto a contrariis, prevede l’idoneità del piano (o meglio: la non manifesta inidoneità) alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali.
Proprio alla luce di questo secondo presupposto, si deve infatti ritenere che, al fine di riconoscere in concreto la funzionalità giuridica e sostanziale del piano, non assume importanza solo l’interesse immediato dei creditori, ma anche quello mediato per gli stessi e per tutti gli interessati coinvolti – ossia, i dipendenti e le loro famiglie, i fornitori e le imprese che, a qualunque titolo e in ragione del flusso di denaro riversato sul territorio, potrebbero risultare, direttamente o indirettamente, avvantaggiate – facendo così, in definitiva, rilevare gli interessi di tutta la comunità.