Contraddittorio preventivo: ancora incerto l’ambito di applicazione
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365Continua ad esserci incertezza in materia di obbligo al contraddittorio preventivo a seguito dei controlli fiscali realizzati in ufficio dai verificatori: la Corte Costituzionale, infatti, non ha aiutato a chiarire la questione, dichiarando inammissibile, con tre distinte ordinanze, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa e dalla Commissione tributaria regionale della Campania (Corte Costituzionale, Ordinanze 13 luglio 2017, n. 187, n.188, n. 189).
Ad oggi, quindi, i contribuenti continuano a doversi affidare ad una giurisprudenza ondivaga che solo in alcuni casi riconosce il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo.
Merita infatti di essere ricordato che, nel nostro ordinamento, il diritto al contraddittorio è previsto dall’articolo 12, comma 7, L. 212/2000, in forza del quale, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare, entro sessanta giorni, osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori: l’avviso di accertamento non può quindi essere emanato prima della scadenza del predetto termine.
Tuttavia la norma si ritiene applicabile limitatamente ai controlli effettuati tramite accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente, ragion per cui, per i controlli fiscali realizzati in ufficio dai verificatori (c.d. “accertamenti a tavolino”) dubbi sorgono in merito all’esistenza di un principio generale di obbligo al contradditorio preventivo.
Deve in primo luogo essere chiarito che un principio generale di obbligo al contraddittorio può sicuramente essere richiamato per i tributi armonizzati, “in relazione ai quali detto obbligo è desumibile dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e sempre che, come più volte ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, l’interessato abbia dato prova dell’incidenza effettiva della violazione sulla formazione dell’atto che ha recato pregiudizio allo stesso” (Corte Costituzionale, Ordinanza 13 luglio 2017, n. 187).
Con riferimento, invece, ai tributi non armonizzati, non è possibile individuare un orientamento giurisprudenziale univoco.
Una delle pronunce più recenti (Corte di Cassazione, ordinanza 19 aprile 2017, n. 9823), richiamando la precedente sentenza della stessa Corte (Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823) ha stabilito che “in caso di accertamenti “a tavolino” (come nella specie, traendo origine il controllo da verifiche bancarie e non anche da accessi, ispezioni e verifiche nei locali del contribuente), non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap”.
La sentenza delle Sezioni Unite del 2015 continua quindi, ancora oggi, a sancire una netta distinzione tra accertamenti in materia di imposte dirette e Iva, e i giudici di merito, anche nelle sentenze più recenti, non si discostano dall’orientamento in forza del quale “in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito”: l’avviso di accertamento, anche se emesso prima dei sessanta giorni, è quindi perfettamente legittimo (Commissione Tributaria di primo grado Trento, Sezione 1, Sentenza 4 maggio 2017, n. 64. Conf.: Commissione Tributaria provinciale Milano, Sezione 18, Sentenza 9 maggio 2017, n. 3200; Commissione Tributaria regionale Palermo, Sezione 3, Sentenza 10 maggio 2017, n. 1684).
Tutto ciò premesso, è però necessario sottolineare che possono essere richiamate anche sentenze che accolgono un’interpretazione completamente diversa, facendo riferimento alle sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 29 luglio 2013, n. 18184.
Con la citata sentenza, infatti, è stato chiarito che, anche in assenza di un’espressa previsione normativa, il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa e deve essere quindi dichiarata la nullità degli avvisi di accertamento in assenza di previa attivazione del contraddittorio con il contribuente.
I Giudici hanno pertanto ritenuto che “l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’articolo 12, comma 7, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 18184 del 2013. Conf.: Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 26635 del 2009, Corte di Cassazione n. 28049 del 2009, Corte di Cassazione n. 453 del 2013, Corte di Cassazione n.2587 del 2014, Corte di Cassazione n.14287 del 2014).
Da una prima analisi potrebbe concludersi che l’orientamento appena richiamato sia quello più risalente, ragion per cui si potrebbe ritenere necessario far riferimento alla più recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. U., n. 24823 del 2015.
È però innegabile che quest’ultima pronuncia sia non solo lesiva del diritto di difesa garantito dall’articolo 24 della Costituzione, ma anche in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, in quanto, limitando il contradditorio preventivo ai soli accertamenti realizzati a seguito di accesso pare irragionevolmente discriminatoria per quei contribuenti che non hanno subito una verifica presso i locali di esercizio della relativa attività.
Sono quindi sicuramente necessari chiarimenti ufficiali sul punto.
1 Agosto 2017 a 8:21
personalmente rilevo quanto segue ed a mio parere è un argomento che depone sulla illegittimità dell’accertamento a tavolino senza emissione di pvc, Se non è incostituzionale questo non so più cosa possa esserlo. Gli Uffici, a quanto pare dimenticano che, la Legge di Stabilità 2015 art. 1 c. 637, prevede che sia possibile ravvedere un P.V.C. anche parzialmente.
Tornando alla questione in esame, è notorio che l’accertamento a tavolino non si chiude mai, con l’emissione di un P.V.C., ma con un atto di accertamento.
A questo punto appare di tutta evidenza che, si crea un’evidente disparità tra contribuenti. Quello accertato in esterno avrà il P.V.C., potrà presentare osservazioni (delle quali l’Ufficio in sede di emissione di avviso di accertamento dovrà tenere, obbligatoriamente, conto), ravvederlo totalmente o parzialmente.
L’accertato a tavolino, si vedrà recapitare il solo avviso di accertamento e solo in quel momento avrà contezza dei motivi dell’Ufficio senza nessuna garanzia o chance concessa all’ accertato in esterno. Non potrà presentare osservazioni (delle quali l’Ufficio dovrà tenere conto prima dell’emissione dell’avviso di accertamento), non potrà effettuare ravvedimento totale o parziale sulla base delle motivazioni espresse nel P.V.C. usufruendo di eventuali benefici in termini sanzionatori.
Inoltre, più avrà collaborato con l’Ufficio, rischia anche di vedersi contestata la domanda di adesione perché considerata dilatatoria, ritenendo l’Ufficio che si sia formato un contradittorio “perfetto”.
Appare di tutta evidenza che, nonostante quanto sancito dalla Suprema Corte vi sia violazione, in qualsiasi caso dei precetti Costituzionali per il contribuente accertato a tavolino,
se non quelli previsti dallo Statuto dei Diritti del Contribuente, sicuramente di quelli Costituzionali.