I contributi “misti” sono equiparati a quelli in “conto capitale”
di Fabio LanduzziLa Corte di Cassazione (sentenza n. 23556 del 18 novembre 2015) ha affrontato la questione del corretto inquadramento fiscale dei contributi cd. “misti”, ossia erogati in attuazione di leggi speciali di sostegno alla imprenditoria ed agli investimenti, ma non direttamente e specificamente correlati alla effettuazione di investimenti in beni strumentali ammortizzabili.
Il caso di specie riguardava un’impresa che aveva ricevuto da un ente pubblico alcuni contributi per la realizzazione di un’azienda turistica; il contribuente, ritenendo che tali contributi fossero riferiti alle spese sostenute per la ristrutturazione di un immobile da adibire ad impresa agricola, li aveva trattati come contributi “in conto investimenti” e li aveva fatti concorrere alla formazione del reddito imponibile secondo un principio di competenza economica e quindi nella stessa proporzione degli ammortamenti annuali.
L’Amministrazione aveva invece inquadrato diversamente i contributi in oggetto, ritenendoli caratterizzati da una causa “mista” e, per il fatto di non essere connessi direttamente all’acquisto di beni strumentali ammortizzabili, li aveva qualificati come contributi in “conto capitale” e quindi ritenuti soggetti al regime previsto dall’articolo 55, comma 3, lett. b), del Tuir (oggi, articolo 88 del Tuir); ovverosia, li aveva qualificati come sopravvenienze attive imponibili nell’esercizio del loro incasso oppure in un massimo di cinque quote annue costanti.
La Suprema Corte ha quindi accolto la tesi dell’Amministrazione, sulla base dell’argomentazione che viene qui di seguito sintetizzata.
In primo luogo, viene sottolineata la distinzione fra i contributi in “conto impianti”, i quali sono finalizzati alla acquisizione di beni materiali od immateriali ammortizzabili, ed i contributi “in conto capitale”, i quali sono invece erogati per aumentare i mezzi patrimoniali e finanziari dell’impresa, senza che la loro concessione sia connessa all’effettuazione di uno specifico investimento in beni ammortizzabili.
Viene poi specificato, richiamando il precedente della Cassazione n. 781/2011, che la prassi economica ha generato un’ulteriore specie di contributi cd. “misti”: si tratta di erogazioni concesse al fine generico di potenziare l’apparato produttivo o commerciale dell’impresa, per le quali manca una correlazione specifica con un piano di investimenti in beni ammortizzabili. Detti contributi sono quindi qualificati come in “conto capitale”.
A tale situazione appartiene anche la fattispecie, abbastanza ricorrente nella pratica professionale, nella quale i contributi sono corrisposti dall’ente preposto in relazione a piani di investimento complessi che includono, sia costi di acquisto di beni strumentali ammortizzabili, sia altre spese di varia natura (ad esempio: spese correnti di gestione) non caratterizzate dalla qualifica di immobilizzazioni immateriali.
Qualora non siano disponibili chiavi oggettive di ripartizione del contributo tra le varie voci di spesa diversamente classificabili, l’intera somma percepita a tale titolo dovrebbe essere quindi assoggettata al regime fiscale dei contributi in conto capitale, oggi disciplinato alla lettera b), del comma 2, dell’articolo 88 del Tuir, adottando quindi un sistema di tassazione “per cassa”.
Infatti, il collegamento fra i costi ed i contributi percepiti, richiederebbe necessariamente l’esistenza di un criterio oggettivo di connessione rispetto all’acquisto di beni strumentali ammortizzabili, e solo al ricorrere di tale situazione si potrebbe qualificare il contributo come “in conto impianti” e quindi adottare il regime fiscale di tassazione per competenza e non per cassa.
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