Contributi pubblici nella Legge di Bilancio 2019: una norma non chiara
di Luca GhelliLuca LavazzaLa L. 145/2018 (i.e. Legge di Bilancio 2019) contiene alcune disposizioni in materia di erogazione di contributi da parte dello Stato a società dal medesimo partecipate o ad organismi di diritto pubblico finanziati dallo Stato in misura maggioritaria.
Tali disposizioni, di cui ai commi dal 91 al 94 dell’articolo unico, non erano previste nella versione originariamente approvata dalla Camera dei Deputati ma sono frutto del successivo maxi-emendamento governativo n. 1.9000 presentato durante il dibattito al Senato, approvato con voto di fiducia al termine di un complesso iter parlamentare.
A livello interpretativo sono disponibili il Dossier A.C. 1334-B – edizione provvisoria del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati e il Dossier A.C. 1334-B – edizione definitiva del Senato della Repubblica (nel seguito, genericamente citati come Dossier), nonché la relazione tecnica, invero non particolarmente dettagliata.
Sulla base di tali documenti, le disposizioni in commento avrebbero carattere interpretativo.
L’applicazione delle stesse è subordinata alla preventiva autorizzazione da parte della Commissione Europea ai sensi dell’articolo 395 Direttiva 2006/112/CE (cfr. articolo 1, comma 94, L. 145/2018). Secondo la procedura ivi stabilita, di durata massima di 8 mesi, gli Stati Membri possono essere autorizzati a introdurre misure speciali di deroga ai fini di una semplificazione nella riscossione dell’imposta, purché sia garantita l’invarianza del gettito allo stadio del consumo finale.
Ciò premesso, la norma dispone che i contributi di importo fino a 50 milioni di euro concessi dallo Stato a proprie società partecipate o ad organismi di diritto pubblico, finanziati dallo Stato in misura maggioritaria (anche se costituiti in forma di società di capitali), la cui finalità sia quella di effettuare investimenti di pubblico interesse, sono erogati (cfr. commi 91 e 92):
- a titolo definitivo, contestualmente alla realizzazione dell’intervento in forma globale, ovvero quota imponibile più Iva, progressivamente alla realizzazione del detto intervento, se il provvedimento di concessione del contributo reca la dicitura “comprensivo di Iva”; o
- con finalità di anticipazione relativamente alla quota “liquidata a titolo di Iva”, con obbligo di rimborso allo Stato da parte del beneficiario, a conclusione della realizzazione dell’intervento finanziato, laddove il provvedimento di concessione non rechi la dicitura “comprensivo di Iva”.
Il comma 93 precisa che le disposizioni si applicano anche ai contributi per i quali
- l’attività di rendicontazione da parte dei beneficiari non si sia ancora conclusa (senza però specificare la data cui si debba fare riferimento); e
- non sia intervenuta la liquidazione del saldo finale.
La disposizione non ci sembra consentire agevolmente l’individuazione della fattispecie astratta che il legislatore vuole disciplinare. Nel seguito, con l’aiuto dei predetti documenti, proveremo a individuare l’interpretazione che, in assenza di chiarimenti, sembra più plausibile, delineando, allo stesso tempo, gli elementi dubbi.
Come risulta dai Dossier e dalla relazione tecnica, la norma non avrebbe rilevanza ai fini dell’applicazione dell’Iva bensì sarebbe tesa a definire quando il contributo erogato sia volto a rimborsare al beneficiario anche l’Iva dovuta ai fornitori in conseguenza dell’esercizio della rivalsa o, al contrario, sia destinato alla copertura della sola base imponibile. In altre parole, la norma non sarebbe volta a disciplinare ai fini Iva il rapporto tra ente pubblico erogante e beneficiario ma tratterebbe delle modalità di finanziamento delle spese sostenute dal percettore a seguito dell’ingaggio di fornitori terzi.
Ne conseguirebbe che la norma non dovrebbe riguardare le ipotesi in cui si instaura un rapporto a prestazioni corrispettive tra lo Stato e l’ente percettore, bensì quelle in cui vi è un’erogazione di denaro fuori campo Iva dallo Stato alle proprie partecipate, esclusivamente volta a finanziare opere pubbliche eseguite da terzi. Infatti, tra le altre cose, l’applicazione di una siffatta previsione al caso di contributo imponibile ai fini Iva provocherebbe enormi difficoltà nella determinazione della base imponibile del contributo stesso, essendo la parte di contributo destinata a finanziare il debito Iva nei confronti dei fornitori del beneficiario concessa solo temporaneamente.
Tuttavia, anche tale interpretazione non ci pare priva di incertezze.
Nei casi dei contributi “comprensivi di Iva”, infatti, la quota di finanziamento destinata a coprire la quota Iva a titolo definitivo rappresenterebbe, per il beneficiario, un’acquisizione a titolo definitivo. Tale casistica potrebbe essere quindi correlata, in base allo specifico provvedimento di concessione, alle sole situazioni nelle quali il beneficiario non gode del diritto di detrazione dell’Iva (presumibilmente, nei casi di beneficiario “organismo di diritto pubblico” che quindi sostiene il costo dell’Iva).
Inoltre, considerando che la maggioranza dei percettori è soggetta allo split payment, sarebbe stato opportuno che la norma o la relazione avessero chiarito la portata applicativa della disposizione in caso di applicazione della scissione dei pagamenti. In tal caso, infatti, non viene corrisposta l’Iva al fornitore ma questa, generalmente, viene contemporaneamente detratta e computata a debito dal cessionario (quando costui svolge attività commerciale e ha pieno diritto alla detrazione), senza che vi sia alcun impatto finanziario. Non si comprende, quindi, come la disposizione in commento possa coordinarsi con tale istituto.
Da ultimo, non appare del tutto chiaro il richiamo all’articolo 395 Direttiva 2006/112/CE: se è vero che la disposizione in commento non ha alcuna rilevanza ai fini dell’applicazione dell’Iva ma attiene solo ad un rapporto di finanziamento tra ente erogatore ed ente percettore, non è chiaro l’impatto che questa potrebbe avere sulle modalità di riscossione dell’imposta, tali da giustificare la procedura autorizzativa.