Contributo straordinario temporaneo non dovuto per la “mera” lavorazione
di Chiara GrandiFabio LanduzziIn attesa di conoscere le sorti future del contributo straordinario temporaneo per il 2023, istituito dai commi da 115 a 119 dell’articolo 1, L. 197/2022, e attualmente rimesso alla valutazione di costituzionalità da parte della Corte Costituzionale su richiesta del Tar del Lazio, con questo articolo si vuole analizzare l’integrazione del presupposto soggettivo per l’assoggettamento a imposizione, nel caso di un soggetto operante nel settore della produzione di energia elettrica non finalizzata alla successiva vendita di beni.
L’Amministrazione finanziaria, in occasione di una risposta ad interpello, non ancora pubblicata, ha infatti statuito un importante principio: nel caso in cui un soggetto svolga attività di produzione di energia elettrica per conto terzi i cui ricavi siano costituiti da corrispettivi, riconosciuti per l’attività di lavorazione, non parametrati alle condizioni economiche dei mercati di sbocco, lo stesso non è assoggettato a contributo.
Più nello specifico, la società istante era stata costituita per la realizzazione e la gestione di una centrale di cogenerazione per la produzione e vendita di energia elettrica integralmente a favore della propria controllante; i servizi e la materia prima (metano), di cui la società produttrice necessitava per lo svolgimento della propria attività di produzione, erano forniti direttamente dalla committente, in virtù di uno specifico contratto di servizi.
Il corrispettivo pattuito contrattualmente per la cessione dell’energia elettrica prodotta era pari al “full cost” (i.e. costo pieno) per Mwh, oltre al riconoscimento di un compenso predeterminato e fisso (0,50€/MWh).
La base imponibile positiva, che emergeva ai fini del contributo straordinario, era unicamente riconducibile a variazioni fiscali temporanee (nello specifico, all’accantonamento a fondo manutenzione ciclica, per attività manutentive obbligatorie ai fini di garantire la sicurezza dell’impianto e che erano previste contrattualmente), che nulla avevano a che vedere con la realizzazione di extraprofitti “reali”.
Come previsto dall’ultimo periodo del comma 115 dell’articolo 1, Legge di Bilancio 2023, i soggetti rientranti nel perimetro di applicazione del contributo ne sono tenuti al pagamento se, nel periodo d’imposta precedente a quello in corso all’1.1.2023, l’ammontare dei ricavi conseguiti dalle indicate attività è pari ad almeno il 75% dell’ammontare complessivo annuo dei ricavi di cui all’articolo 85, Tuir. Essendo l’attività dell’istante integralmente volta alla produzione di energia elettrica, il requisito innanzi menzionato risultava, dal punto di vista formale, soddisfatto.
Quanto all’esatta identificazione dei soggetti passivi, l’Agenzia delle entrate aveva già avuto modo di chiarire che (cfr.: nota 10 della circolare n. 4/E/2023), «le attività riportate al comma 1, primo periodo, dell’articolo 1, comma 115, della legge di bilancio 2023 coincidono con quelle previste al comma 1, primo periodo, dell’articolo 37 del decreto Ucraina.».
Nello specifico, nell’elencare le attività rilevanti ai fini del loro assoggettamento al contributo, il comma 1, dell’articolo 37 citato si riferisce, ai soli soggetti che esercitano l’attività di produzione di energia elettrica finalizzata alla «successiva vendita dei beni».
Tale locuzione, coerentemente con il dichiarato intento della norma che è – notoriamente – quello di colpire unicamente i sovraprofitti congiunturali (e, cioè i profitti derivanti da un anomalo andamento dei prezzi dei prodotti energetici), avrebbe dovuto essere interpretata riferendo il requisito della successiva vendita a tutte le attività riconducibili al perimetro applicativo del contributo, quando rivolte al mercato. Ciò in quanto i sovraprofitti congiunturali sono quelli tipicamente conseguiti dalle imprese che vendono beni (nella fattispecie energia elettrica) e non da quelle che effettuano attività di mera lavorazione.
Tale lettura è stata accolta dall’Amministrazione finanziaria, la quale ha assimilato la fattispecie sopra descritta al contratto di tolling, contratto atipico in cui il ruolo del tollee non integra la figura del produttore nella sua accezione tradizionale, integrando piuttosto quella di un servicer, la cui prestazione caratterizzante è la lavorazione dei combustibili messi a disposizione dal toller trasformandoli in energia elettrica a esclusivo beneficio di quest’ultimo, che si assume, di fatto, il rischio delle variazioni di prezzo del combustibile utilizzato e, di conseguenza, dell’energia elettrica.
Nel caso in esame, l’istante si limitava a mettere a disposizione la capacità produttiva della propria centrale elettrica, trasformando il combustibile in energia. I confini della sua responsabilità si traducevano nei rischi tecnici di produzione derivanti dalle attività di esercizio, manutenzione e repowering degli impianti.
L’Agenzia delle entrate ha, pertanto, affermato che il corrispettivo ricevuto dall’istante, remunerando l’attività di trasformazione in sé considerata ed essendo svincolato dalle fluttuazioni dei prezzi di vendita dell’energia elettrica, non aveva determinato alcun extraprofitto per il venditore, esentandolo, pertanto, dall’assoggettamento a contributo.