5 Luglio 2024

Controlli antifrode sui fornitori – parte 2

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

In un precedente contributo, abbiamo analizzato come un soggetto passivo potrebbe essere chiamato a rispondere dell’evasione Iva dei propri fornitori. Abbiamo visto che, sicuramente, è chiamato a rispondere (1) qualora sia complice del frodatore, (2) anche nel caso in cui sapeva della frode del proprio fornitore. Il limite – processuale (se vogliamo) – al recupero dell’Iva, nei confronti di soggetti che sapevano della frode del loro fornitore, è che l’Amministrazione deve dimostrare questa consapevolezza con elementi oggettivi, e non con semplici presunzioni. In alcune sentenze della Corte di Giustizia Europea, sono state “bocciate” delle presunzioni che, a prima lettura, potrebbero sembrare anche abbastanza forti.

L’ultimo caso in cui un soggetto passivo è chiamato a rispondere della frode del proprio fornitore è (3) quando, con la “ordinaria diligenza”, avrebbe potuto sospettare di essere coinvolto in una frode. Molte volte, purtroppo, alcuni imprenditori vanno alla ricerca dei beni che servono per la loro impresa, guardando solo il migliore prezzo che viene praticato; talvolta, tuttavia, dietro ad un prezzo molto competitivo, si cela una frode Iva del fornitore.

Il seguente esempio potrebbe spiegare il fenomeno.

Mario Rossi è acquirente di alcune materie prime che vengono prodotte solo in Polonia ed in Lituania e che acquista abitualmente su quei mercati, a prezzi che si aggirano sempre intorno ai 100 euro/kg. Se si presenta un soggetto italiano, partita Iva di nuova apertura, sede legale presso uno studio e nessun altro luogo di svolgimento dell’attività, rintracciabile solo al cellulare o su indirizzo mail di Yahoo, che propone la stessa merce a 95 euro/kg + Iva, potrebbe esserci motivo di preoccuparsi; questo fornitore italiano, probabilmente, ha acquistato gli stessi prodotti a 100 euro/kg come acquisto comunitario dai polacchi, e rivendendolo a 95 euro/kg + Iva potrà guadagnare dall’operazione solo non versando l’Iva; ipotizziamo, poi, che i documenti di consegna delle merci sono delle CMR, dalle quali si evince che la merce è partita dagli stabilimenti dei fornitori abituali.

Il caso riportato nell’esempio è abbastanza eclatante circa la probabile frode del fornitore, in quanto si è in presenza, congiuntamente, di prezzo anomalo, provenienza anomala della merce, fornitore anomalo. Da sentenze della Corte di Giustizia emerge che la presenza di una sola anomalia – in particolare la provenienza della merce – non è da sola sufficiente a fondare un avviso di accertamento; in particolare, riconoscendo l’esistenza di soggetti che sono dei “traders”, non sempre chi cede dei beni deve avere la capacità di produrli in proprio o di stoccarli; inoltre, anche eventuali anomalie che riguardano, ad esempio, la catena di approvvigionamento (la tracciabilità della catena alimentare nel caso di specie) da soli sono indizi non utilizzabili per fondare da soli degli avvisi di accertamento, coi quali si intende dimostrare che il cliente sapeva della frode del fornitore.

Gli indizi, tuttavia, possono essere utilizzati per contestare che il soggetto passivo non ha effettuato controlli sufficienti sul fornitore, che se effettuati gli avrebbero permesso di capire di essere cliente di un frodatore. Ma che controlli vanno effettuati?

Ricordiamo, al riguardo, il passaggio della Sentenza Aquila Part Prod Com SA, Causa C-512/21, secondo cui “Ne consegue che la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non partecipi ad un’operazione che si iscrive in una frode commessa da un operatore a monte dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità odi una frode. Pertanto, in presenza di indizi di una frode, ci si può attendere una maggiore diligenza dal soggetto passivo. Tuttavia, non si può esigere da quest’ultimo che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare”.

Come scritto nel precedente contributo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emergono due cose: la prima, è che le verifiche non devono mai essere troppo “complesse o approfondite”, come quelle che l’Amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare. Chi scrive, ritiene, ad esempio, che non sarebbe legittimo chiedere ai propri fornitori di presentare i modelli F24 di versamento dell’Iva, il libro matricola dei dipendenti, la dichiarazione Iva, ecc…

La seconda cosa importante è che la Corte di Giustizia ritiene legittimo pretendere una maggiore diligenza nei confronti del soggetto passivo, qualora vi siano indizi di una possibile frode. Chi scrive ritiene, quindi, che vi siano da effettuare due verifiche: una “base” che evidenzi l’eventuale presenza di indizi di frode, ed una più approfondita da svolgersi solo in presenza di tali indizi. Ovviamente, la sufficienza delle verifiche “base” dipenderà dalla valutazione del giudice di merito, probabilmente non sindacabile in sede di legittimità, e si presterà agli ordinari fenomeni di discrezionalità di verificatori, accertatori e giudici; ricordando, tuttavia, che il principio costituzionale di buon andamento della Pubblica amministrazione pretenderebbe che situazioni simili non possono essere disciplinate in modo diverso, opportune sarebbero delle linee guida emanate a livello centrale.

L’Amministrazione fiscale tedesca, ad esempio, ha fatto un elenco di “indizi” che – se non presenti – permettono all’operatore economico di poter fare affidamento sul corretto trattamento fiscale delle sue transazioni; ad esempio, l’offerta di prezzi non in linea con quelli di mercato, la richiesta di pagamenti in contanti che sono insoliti nel settore, le continue modifiche nelle persone all’interno delle imprese e la mancata esperienza professionale o conoscenza del settore, i continui cambi di sedi legali, un oggetto sociale non compatibile con l’attività svolta, quantità insolite offerte, mezzi di contatto (mail, telefono, ecc…) non sufficienti, ecc… (per dettagli Umsatzsteuer-Anwendungserlass, §25f.1). Anche l’Amministrazione tedesca, tuttavia, non chiarisce nel dettaglio come comportarsi qualora, in sede di “verifica di base”, emerga qualche indizio: si limita a precisare che l’imprenditore deve adottare ulteriori misure appropriate (es. ottenere informazioni) e documentarle in modo adeguato.