Controllo contrattuale e profili applicativi nel transfer price
di Marco BargagliLa normativa sostanziale di riferimento in tema di prezzi di trasferimento è contenuta nell’articolo 110, comma 7, Tuir, a mente del quale i componenti del reddito derivanti da operazioni intercorse con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, devono essere valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti.
Quindi la citata disposizione, sotto il profilo soggettivo, prevede la valutazione della congruità dei prezzi di trasferimento praticati nella cessione di beni e/o prestazioni di servizio tra imprese appartenenti allo stesso gruppo, a condizione che tra le società interessate dalla transazione economica e commerciale intercorra un rapporto di controllo.
Nonostante la norma fiscale non faccia esplicito riferimento a norme del codice civile, è universalmente riconosciuto che, al fine di valutare la sussistenza del controllo, nelle sue varie declinazioni, si deve fare riferimento all’articolo 2359, primo comma, del codice civile, in base al quale sono considerate società controllate:
- le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
- le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
- le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Tuttavia, il controllo rilevante ai fini delle rettifiche in ambito transfer price deve essere valutato in un contesto più ampio considerando casi e circostanze che determinano, di fatto, una forma di influenza attuale o potenziale che investe gli attori economici interessati dagli scambi economici e commerciali realizzati.
Infatti, nella specifica materia, la prassi e la giurisprudenza di riferimento ritengono che non operi la semplice nozione civilistica di controllo societario ex articolo 2359 del codice civile, in quanto lo stesso deve essere accertato sulla base di parametri più completi .
Tale assunto, è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 8130/2016), nella quale è stato affermato che il concetto di controllo ai fini del TP deve essere esteso ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile dalle singole circostanze: non a caso, l’articolo 110 del Tuir non fa alcun riferimento alle disposizioni previste dal codice civile.
Infatti, in ambito tributario, qualora il concetto di controllo societario sia circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate nell’articolo 2359 del codice civile, tale richiamo è specificatamente previsto dalla norma (cfr. articolo 167 del Tuir in tema di CFC o, ancora, articolo 38-bis del D.P.R. 633/1972).
Ciò posto, tenuto conto che l’articolo 110, comma 7, del Tuir non richiama esplicitamente l’articolo 2359 del codice civile, risulta evidente che il legislatore non vuole vincolare la nozione di controllo societario, ai fini tributari, alla mera definizione civilistica.
Sullo specifico punto, le argomentazioni espresse da parte della giurisprudenza di legittimità, sono state già confermate dalla circolare del 22/09/1980 n. 32 – Min. Finanze – Imposte Dirette, la quale ha escluso che, agli effetti dell’applicazione della normativa in rassegna, il controllo esercitato sull’impresa sia riconducibile nei limiti previsti dalle disposizioni civilistiche.
Infatti, secondo la posizione dell’Amministrazione finanziaria “il concetto di “controllo” deve essere esteso ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile dalle singole circostanze, quali, in particolare: la vendita esclusiva di prodotti fabbricati dall’altra impresa; l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione tecnica della altra impresa; il diritto di nomina dei membri del consiglio di amministrazione o degli organi direttivi della società; presenza di membri comuni del consiglio di amministrazione; relazioni di famiglia tra le parti; concessione di ingenti crediti o prevalente dipendenza finanziaria; partecipazione da parte delle imprese a centrali di approvvigionamento o vendita; partecipazione delle imprese a cartelli o consorzi, in particolare se finalizzati alla fissazione di prezzi; controllo di approvvigionamento o di sbocchi; serie di contratti che modellino una situazione monopolistica; in generale tutte le ipotesi in cui venga esercitata potenzialmente o attualmente un’influenza sulle decisioni imprenditoriali”.
Di conseguenza, la valutazione della congruità dei prezzi di trasferimento infragruppo andrà effettuata prendendo in considerazione situazioni che determinano, anche di fatto, situazioni di influenza dominante di un soggetto economico nei confronti di un altro, anche sotto il profilo del c.d. controllo contrattuale.
Si pensi, ad esempio, alla stipula di una serie di contratti che vincolano un’impresa nei confronti di un’altra (sotto il profilo del fatturato, dell’adeguamento dei mezzi e delle attrezzature, degli investimenti produttivi).
In conclusione, oltre alle disposizioni tassativamente previste dal codice civile, il Fisco potrà valutare la congruità delle operazioni poste in essere, anche qualora non si ricada espressamente in forme di controllo societario tradizionalmente considerate ai fini civilistici.
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