Conviene acquistare beni non inerenti con l’attività sociale?
di Comitato di redazioneCapita spesso di imbattersi, nella pratica, in situazioni nelle quali taluni soggetti, che intendono procurarsi la disponibilità di un bene e non vogliano farlo apparire, scelgano di utilizzare l’intestazione a società ad essi riconducibili, regolandone in vario modo il diritto d’uso.
Escludiamo dall’analisi il caso in cui tra il soggetto e la società sussista un rapporto giuridico ben determinato, quale un rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione (tipicamente il caso degli amministratori). Tali fattispecie di concessione in uso promiscuo, come noto, trovano una esplicita regolamentazione tributaria nel sistema, con specifici limiti differenziati alla deduzione dei costi; anche nel caso dell’imposta sul valore aggiunto, sappiamo che appare possibile la detrazione integrale del tributo se l’uso al dipendente viene regolato con emissione di fattura, mentre l’Agenzia delle entrate ha negato che tale conclusione possa essere estesa al caso dell’amministratore (si veda, al riguardo, il contributo di Luca Caramaschi in EC news).
Ma, al di fuori di queste casistiche per così dire “tracciate”, nella realtà se ne riscontrano altre di natura ibrida, come potrebbe accadere nel caso in cui una società acquisti un veicolo da concedere in uso ad un soggetto socio che, tuttavia, non rivesta né la qualifica di amministratore né sia assunto come lavoratore dipendente.
Sono queste le situazioni nelle quali il consulente dovrebbe fare emergere un po’ di rigore teutonico, confermando in modo granitico al proprio cliente che tali situazioni non si devono verificare.
Innanzitutto, ci chiediamo, perché mai una società dovrebbe sostenere un costo per far godere un beneficio ad un soggetto al quale non è legata da alcun rapporto giuridico definito?
E, per converso, perché mai un socio dovrebbe godere della possibilità di utilizzare un bene aziendale?
La vicenda è stata complicata, nel ragionamento, dalla vicenda relativa all’obbligo di annotazione del soggetto utilizzatore del veicolo sul libretto di circolazione (vedi, al riguardo, l’intervento pubblicato su EC news) che, vale ben la pena di rammentarlo, attiene esclusivamente vicende legate al Codice della strada e non relative alla corretta disciplina dei rapporti societari e/o fiscali.
Innanzitutto, sul versante societario, l’amministratore della società potrebbe essere tacciato di avere depauperato il patrimonio societario, facendo sostenere all’ente un costo (con connesso dirottamento di risorse verso scopi extra aziendali) per nulla connesso con l’attività e con le esigenze della società. Quali vantaggi si possono ritrarre, infatti, da una tale operazione?
Infatti, è vero che la società può acquistare dei beni da concedere in comodato a terzi soggetti, si pensi (per fare l’esempio più tipico) al caso della società che vende caffè e bevande che acquista le relative macchinette da concedere in uso ai clienti, decidendo (secondo le strategie aziendali assunte) se prevedere un acquisto minimo di prodotto, oppure no. In tale caso, però, appare evidente l’utilità dell’acquisto, finalizzato a determinare la possibilità di produrre ricavi (derivanti dalla vendita delle bevande) e, secondo i vari accordi, assegnando un ammontare minimo di ricavi annui per ciascun apparecchio concesso in uso.
Partendo da tale assunto, le conseguenze pratiche sono sempre le medesime: per non ufficializzare la posizione, si finisce per far utilizzare il veicolo al soggetto senza regolare l’ipotesi da alcun accordo.
In tal modo, il veicolo assume la “veste” di auto aziendale “generica” e si crede che le limitazioni previste dal sistema sulla detrazione dell’IVA (40%) e la deduzione del costo (20% nei limiti di valore rilevanti) servano a sanare la vicenda.
A noi pare, però, che così non sia.
Ai fini IVA, si tratterebbe di un acquisto completamente non inerente, in ragione del quale risulterebbe difficoltoso giustificare la detrazione del tributo; il bene, infatti, non sarebbe nemmeno per una piccola parte impiegato per la realizzazione di operazioni aziendali, specialmente in quelle ipotesi in cui il socio impieghi il veicolo esclusivamente a fini personali.
Anche ai fini delle imposte dirette, la deduzione forfetaria dettata dall’articolo 164 del TUIR dovrebbe servire unicamente per regolare (in modo non discutibile, secondo l’Agenzia delle entrate) la misura della detrazione (delimitando l’onere probatorio della individuazione della quantità di uso personale ed uso aziendale), ma nelle ipotesi in cui sussista anche un minimo di utilizzo coerente con lo svolgimento dell’attività di impresa.
Peraltro, il tema della comunicazione dei beni assegnati ai soci e del relativo reddito prodotto a valore normale (di cui al DL 138/2011) determina, nel caso in parola l’emersione di una completa indeducibilità dei costi sostenuti in capo all’ente (sia pure con particolari calmieri per il caso dei soggetti trasparenti, come chiarito dalla circolare 36/E del 24-09-2012).
In chiusura di tutto il ragionamento, appare allora chiaro che tali operazioni debbono essere completamente scoraggiate in quanto del tutto estranee al mondo dell’impresa e della corretta gestione aziendale.
Non si possono fare sconti o assumere approcci possibilisti solo per accontentare il miraggio dell’imprenditore che (in modo del tutto erroneo) individua nelle casse della società una fonte di finanziamento per le esigenze personali.
Tanto più, che ancora troppo spesso si ritiene di poter attivare una variabile fiscale che, volendo fare le cose per bene, risulta del tutto assente; si potrà discutere a lungo sulla vicenda della rilevanza dei costi delle auto, anche se andrebbe affermato in modo più trasparente che le norme (forse ingiuste a livello generale) sono spesso state varate proprio nel tentativo di contrastare comportamenti del tutto estranei ai canoni della correttezza.