Correzione di errori contabili: fiscalmente neutrale o penalizzante?
di Fabio LanduzziLa recente circolare di Assonime n. 20/2021 affronta alcuni temi che impattano sulla dichiarazione dei redditi e sulla dichiarazione Irap delle società di capitali relative all’esercizio 2020, e sui versamenti dovuti ai fini Ires ed Irap.
Il Capitolo 2 della circolare è interamente dedicato ad affrontare il contenuto di alcuni documenti di prassi pubblicati nel corso di questi mesi dall’Amministrazione Finanziaria.
Fra essi, vi è un focus sulla risposta ad istanza di interpello n. 279/2021 che è stata fornita ad un quesito concernente gli effetti fiscali di un errore contabile riferito alla quota di ammortamento di un avviamento stanziata nei bilanci anteriori a quello in cui è intervenuta la correzione, alcuni dei quali riferiti a periodi d’imposta per i quali si è prescritta tanto l’azione di accertamento dell’Amministrazione, quanto la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi originaria presentando una dichiarazione integrativa a favore del contribuente.
Il particolare caso, da quanto si evince dall’interpello, concerne una società Oic Adopter che ha in origine assunto una vita utile dell’avviamento pari a 40 anni, per poi in seguito accorgersi di essere incorsa in un “errore contabile” per il fatto di non aver ottemperato al limite massimo della durata dell’ammortamento dell’avviamento che il vigente principio contabile di riferimento fissava in 20 anni.
Preso coscienza dell’errore contabile “rilevante” occorso, la correzione è avvenuta secondo le indicazioni fornite dall’Oic 29 e perciò imputando il minor valore dell’avviamento – corrispondente all’ammontare delle maggiori quote non rilevate a conto economico nei precedenti esercizi – a riduzione di una riserva del patrimonio netto.
Dal punto di vista fiscale, astenendosi la società dall’effettuare una variazione in diminuzione dell’imponibile nell’esercizio di correzione dell’errore – conformemente alle indicazioni che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito con la circolare AdE 31/E/2013 – essa avrà certamente titolo per recuperare le minori quote di ammortamento dedotte nei precedenti esercizi attraverso la presentazione di altrettante dichiarazioni integrative a favore nelle quali potrà inserire una variazione in diminuzione dell’imponibile in misura pari, appunto, alla maggiore quota di ammortamento all’epoca erroneamente non imputata in bilancio e quindi non dedotta.
Si pone però il problema di cosa fare delle quote di ammortamento non imputate e non dedotte in esercizi anteriori, ossia per quelli per i quali non è più possibile presentare la dichiarazione integrativa a favore in quanto è spirato il relativo termine.
La soluzione più plausibile, ed anche in linea con la precedente prassi dell’Amministrazione Finanziaria (vedi la risoluzione AdE 78/E/2005 pubblicata in vigenza della precedente normativa che prevedeva per i beni strumentali una misura minima dell’ammortamento deducibile per ciascun periodo d’imposta) era quella di riconoscere tale valore non più deducibile in forma di ammortamento, come parte integrante del maggiore valore fiscale dell’avviamento, rispetto al suo valore contabile, un maggiore valore che sarebbe potuto diventare deducibile al momento del realizzo dell’avviamento stesso (ad esempio, in caso di cessione o di cessazione del ramo di azienda a cui afferisce).
Diversamente, la risposta ad istanza di interpello fornita dall’Amministrazione afferma che il residuo valore fiscale dell’avviamento sarà pari, dopo la correzione dell’errore contabile, al valore originario, meno le quote di ammortamento dedotte, e meno “quelle non più deducibili in quanto riferite a periodi d’imposta non più emendabili”.
Ed è proprio quest’ultima locuzione a destare fondate perplessità che non sono sfuggite all’attenzione di Assonime, poiché seguendo questo ragionamento si arriverebbe alla conclusione per cui queste quote non sarebbero mai più fiscalmente riconosciute per l’impresa, né come ammortamenti e neppure in sede di realizzo.
La soluzione fornita dall’Amministrazione in questa risposta non convince affatto sotto il profilo tecnico, non solo perché, come premesso, si allontana da una prassi consolidata a cui le imprese in circostanze similari avevano sino ad ora sempre fatto un lecito affidamento, ma soprattutto perché crea una iniqua differenza degli effetti che si determinano quando si correggono errori contabili, come nel caso di specie, oppure errori fiscali (cosa che accadrebbe non solo nell’ipotesi che è trattata nella prassi nella risoluzione 98/E/2013, ma anche se venisse accertato di aver dedotto in eccesso rispetto al limite massimo fiscale, con la conseguenza che gli importi così ripresi in aumento a correzione dell’errore senza dubbio si aggiungerebbero al costo fiscale della voce corretta).
La questione non è di poco conto poiché, come sottolinea Assonime, vi sarebbe da capire se questa risposta sarà destinata a rimanere un caso isolato e non determinerà modifiche nella prassi in concreto pubblicata dall’Amministrazione in circostanze similari, oppure se tale posizione sarà intesa riferita esclusivamente al caso dell’avviamento senza impatti circa gli effetti delle correzioni di errori contabili relativi a immobilizzazioni materiali, o se infine – anche se ci auguriamo che ciò non sia – si tratti di un vero e proprio revirement interpretativo, destinato però ad alimentare un inutile contenzioso, ancor più annoso se si pensa che in sostanza si verte in un’area di mera competenza temporale di un componente economico.