Costi infragruppo deducibili in ragione dell’utilità economica
di Angelo GinexSono deducibili i costi pagati da una società italiana alla capogruppo estera in forza di un contratto di cost sharing agreement che preveda una percentuale predeterminata di ripartizione degli stessi tra le varie società figlie del gruppo, qualora sia possibile verificare in termini quantitativi il rapporto tra tali costi e il beneficio ritratto dalla società in termini di utilità economica. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 27 ottobre 2017 n. 25566.
Il caso oggetto della sentenza in rassegna ha origine dalla notifica di un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria disconosceva i costi relativi alla manutenzione di un noto portale web, sostenuti dalla capogruppo estera e ripartiti tra le società figlie, tra cui quella italiana, in base ad una percentuale predeterminata, seppure variabile, in un cost sharing agreement, che la società italiana deduceva poiché grazie ad essi aveva potuto ospitare pubblicità e, quindi, conseguire gli utili dichiarati.
La società italiana impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che accoglieva il ricorso e annullava l’atto. L’Amministrazione finanziaria proponeva appello avverso tale sentenza dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che, in accoglimento del gravame, confermava l’atto impositivo. Pertanto, la società proponeva ricorso per cassazione e l’Amministrazione finanziaria resisteva con controricorso.
Nella pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour hanno ricordato innanzitutto come, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il concetto di inerenza non richieda una correlazione diretta tra il costo ed uno specifico ricavo, potendosi riconoscere tale nozione in una relazione tra il costo e, in termini più generali, l’attività dell’impresa, anche solo potenzialmente produttrice di ricavi o proventi imponibili.
Tuttavia, in caso di rapporti infragruppo – ha precisato la Corte di Cassazione – il concetto di inerenza deve essere contenuto entro confini di ragionevolezza e proporzionalità, non potendo essere disgiunto da quello di coerenza ed utilità economica dei costi.
Infatti, quando non si è in presenza di un accordo tra società indipendenti, ma tra capogruppo estera e società figlia, dove, in sostanza, l’allocazione dei costi finisce per determinare uno spostamento di ricchezza imponibile all’interno dello stesso gruppo, è necessario dimostrare, ai fini della deducibilità, che la misura dei costi, nella sua interezza, sia funzionale al perseguimento dell’utile.
Proprio in tema di spese derivanti da cost sharing agreements, la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare, in epoca molto recente, che, ai fini della deducibilità, “non è sufficiente allegare il cost sharing agreement, né che la spesa sia stata contabilizzata, ma il contribuente deve provare coerenza e utilità economica del costo” (cfr., Cass., sentenze nn. 11094/2017, 9466/2017 e 9560/2016).
Pertanto, i costi devono essere disconosciuti, quando, come nel caso di specie, manca la prova della riferibilità degli stessi, nella misura in cui essi sono stati determinati, alla utilità della società.
Da ultimo, la Suprema Corte ha precisato che questo non significa trasformare l’ipotetica antieconomicità dell’attività di impresa, come conseguenza di costi sproporzionati, nel presupposto di una norma impositiva, ma non può neppure sostenersi che, in particolare nei rapporti infragruppo, il concetto di congruità del costo sia del tutto estraneo all’analisi sulla sua deducibilità. In questo senso, la non congruità o l’antieconomicità di un costo può essere una spia della non inerenza dello stesso.
In definitiva, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente con condanna al pagamento delle spese processuali.