14 Giugno 2019

Costituzionale la dichiarazione fraudolenta senza soglia di punibilità

di Luigi Ferrajoli
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Con la sentenza n. 95 del 2019, la Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Palermo relativamente all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, “nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi descritta sia punibile quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore ad euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila».

Nel caso di specie, l’imputato era stato chiamato a rispondere di operazioni fraudolente che, per ciascun anno di riferimento, si collocavano al di sotto della soglia dei trentamila euro di imposta evasa, con la conseguenza che l’accoglimento della questione avrebbe reso le condotte contestate, ad avviso del Giudice di merito, penalmente irrilevanti.

In particolare, il Tribunale ha rilevato che la norma censurata non prevede alcuna soglia di punibilità, a differenza di quanto avviene per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, relativamente al quale l’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 contempla invece due distinte soglie: una riferita all’ammontare dell’imposta evasa, l’altra all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, ovvero dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta.

Secondo il rimettente, questa disparità di trattamento sarebbe arbitraria, trattandosi di fattispecie sostanzialmente identiche, ormai accomunate dalla “struttura bifasica” e riconducibili all’unico genus della “frode fiscale”.

La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione non fondata, evidenziando innanzitutto che sia la configurazione delle fattispecie criminose sia la determinazione della pena per ciascuna di esse costituiscono “materia affidata alla discrezionalità del legislatore”.

Ciò premesso, le valutazioni inerenti la “meritevolezza” e il “bisogno di pena” sono, per loro natura, tipicamente politiche, per cui le scelte legislative in materia sono censurabili, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove si concretizzino in una manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio. Peraltro, il confronto tra fattispecie normative finalizzato a verificare la ragionevolezza delle scelte legislative presuppone, necessariamente, l’omogeneità delle ipotesi in comparazione.

Nel caso in esame, la Corte Costituzionale ha ritenuto che, attraverso la norma censurata, il Legislatore abbia voluto “isolare, nell’ambito dell’ampia gamma dei mezzi fraudolenti utilizzabili a supporto di una dichiarazione mendace, uno specifico artificio, al quale viene annesso, sulla base dell’esperienza, uno spiccato coefficiente di “insidiosità” per gli interessi dell’erario”.

L’intento del Legislatore di contrastare con rigore il fenomeno si è manifestato non soltanto nella mancata previsione di soglie di punibilità per il delitto de quo, ma anche nella configurazione dello speculare delitto di cui all’articolo 8 D.Lgs. 74/2000 in capo all’emittente, parimenti privo di soglie, che prevede una punizione per l’agente indipendentemente dalla concreta utilizzazione del documento falso da parte di terzi a scopo di evasione fiscale.

La strategia scelta dal Legislatore in materia non viene ritenuta dalla Corte manifestamente irragionevole o arbitraria, “tenuto conto del particolare ruolo che la fattura e i documenti ad essa equiparati sul piano probatorio dalla normativa fiscale assolvono nel quadro dell’adempimento degli obblighi del contribuente, nonché della capacità di sviamento dell’attività accertativa degli uffici finanziari che l’artificio in questione possiede”.

La fattura passiva e i documenti equiparati costituiscono infatti lo strumento tipico attraverso il quale il contribuente attesta il proprio diritto a dedurre voci di spesa dalla propria base imponibile o a effettuare detrazioni dall’imposta.

Non è pertanto possibile considerare arbitraria la scelta legislativa di riservare alla fattispecie in esame un trattamento diverso e più severo – sul piano non della reazione punitiva, ma delle soglie di punibilità – di quello prefigurato in rapporto alla generalità degli altri artifici di supporto di una dichiarazione mendace, anche di tipo documentale.

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