Covid-19: credito d’imposta per le locazioni commerciali
di Cristoforo FlorioIl D.L. 18/2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2020, reca alcune misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Con tale provvedimento è stata introdotta una particolare agevolazione per i soggetti che esercitano un’attività d’impresa nell’ambito della quale conducono in locazione un immobile in categoria catastale C/1 (negozi e botteghe), pur se con alcune esclusioni e limitazioni di seguito analizzate.
Secondo quanto previsto dall’articolo 65 del decreto in questione, al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1.
Sotto il profilo soggettivo, la disposizione è destinata ad esplicare i suoi effetti esclusivamente nei confronti dei soggetti che esercitano un’attività d’impresa, restando esclusi coloro che esercitano arti e professioni (c.d. “liberi professionisti”).
Relativamente agli aspetti oggettivi, l’agevolazione si riferisce alle “locazioni”, senza fare riferimento ad alcuna specifica tipologia di contratto di locazione, di immobili in categoria C/1. È evidente quindi che ai soggetti che esercitano un’attività d’impresa utilizzando un immobile in categoria C/1 in base ad un titolo giuridico diverso dalla locazione non spetterà alcun credito d’imposta: ad esempio, non è prevista alcuna agevolazione nel caso di immobili C/1 utilizzati in base ad un contratto di comodato o detenuti in proprietà (indipendentemente dalla sussistenza o meno di un eventuale mutuo per il quale viene corrisposta una rata periodica).
Questa volta, a differenza di quanto era accaduto nell’ambito della c.d. “cedolare secca commerciale” per la quale era prevista un’ampiezza massima di 600 metri quadrati dei locali, non vi sono riferimenti alle dimensioni dell’immobile. Il credito d’imposta, dunque, trova applicazione per qualsiasi immobile in categoria catastale C/1, indipendentemente da quella che è la metratura del locale oggetto di locazione.
Alla luce di quanto precede va evidenziata l’impossibilità di usufruire del credito d’imposta in esame per i soggetti che esercitano un’attività d’impresa conducendo in locazione un immobile in categoria catastale diversa dal C/1 (ad esempio, un immobile in categoria catastale C/3 “Laboratori per arti e mestieri”).
Sempre sul piano oggettivo, la norma parla di “canone di locazione relativo al mese di marzo”, non menzionando in alcun modo il “pagamento” del suddetto canone. In altri termini, il credito parrebbe spettare relativamente al canone di marzo 2020, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia stato pagato o meno al proprietario. Si pensi, ad esempio, al caso di un’impresa rientrante tra i soggetti obbligati alla chiusura per l’emergenza Covid-19 a seguito delle disposizioni del D.P.C.M. 11.03.2020, la quale – in conseguenza del fermo dell’attività – si sia trovata in una situazione di temporanea carenza di liquidità e non sia riuscita a pagare la mensilità di marzo al proprietario.
Tuttavia, l’utilizzo del condizionale è d’obbligo, sia per la formulazione normativa di per sé poco chiara sia perché nei chiarimenti forniti nella relazione tecnica al decreto si fa riferimento al “pagamento del canone”, precisandosi che il credito d’imposta è relativo alle “spese sostenute” nel mese di marzo 2020 per canoni di locazione di immobili con categoria catastale C/1.
Con riferimento alle modalità di utilizzo del credito d’imposta in esame, l’articolo 65 dispone – al comma 2 – che esso è utilizzabile esclusivamente in compensazione nell’ambito del modello F24, per il pagamento di altri debiti tributari, contributivi e/o assicurativi.
Quello che non viene invece chiarito è il momento temporale di utilizzabilità del credito: in assenza di un’indicazione normativa specifica, è presumibile che il credito d’imposta sia utilizzabile già a partire dalla prima scadenza utile successiva (16 aprile 2020), fermo restando che la disposizione va coordinata con gli articoli 61 e 62 del decreto in analisi, con i quali vengono sospesi tutta una serie di versamenti tributari e contributivi.
Da ultimo va evidenziato che, per espressa disposizione normativa, il credito d’imposta non si applica alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del D.P.C.M. 11.03.2020. Si tratta delle attività commerciali che non sono state sospese.
Si ricorda che, ai sensi del decreto richiamato da ultimo, sono state oggetto di sospensione:
- le attività di commercio al dettaglio, con esclusione delle attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell’allegato 1 del richiamato decreto;
- le attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti) diverse da quelle individuate nell’allegato 2 del richiamato decreto.
Quindi, ad esempio, le attività di ristorazione che esercitano in un locale C/1 condotto in locazione potranno usufruire del credito d’imposta, in quanto sospese dal richiamato decreto. Un supermercato, invece, non potrà fruire del credito d’imposta, in quanto rientrante nei soggetti esclusi dalla sospensione.
Resta fermo che, al momento in cui si scrive, manca il codice tributo che dovrà essere utilizzato per la compensazione nel modello F24 del credito d’imposta esaminato nel presente contributo. Si dovrà quindi attendere l’apposito provvedimento istitutivo da parte dell’Agenzia delle Entrate, con il quale non è escluso che verranno forniti degli eventuali chiarimenti sui profili applicativi della norma sopra esaminata.
21 Marzo 2020 a 10:00
Buongiorno. Ho scritto questa lettera al quotidiano La Repubblica il 19 marzo.
Egregio Direttore,
ho letto con attenzione la lettera-appello firmata dal signor Roberto Schioppa, operatore in un call center, che ha sollevato con garbo ma con fermezza la problematica connessa allo stato di vicinanza e promiscuità nel quale sono costretti a lavorare lui e i suoi colleghi oltre ad avere rilevato l’insussistenza dello stato di necessità a mantenere operativi al 100% i servizi prestati dai call centers. Io rappresento un’altra categoria di lavoratori / imprese che, nei giorni dello ” state in casa”, sono chiamati a mantenere la loro operatività al servizio della (residua) mobilità: i distributori di carburanti. La maggioranza di queste imprese sono condotte da soggetti giuridicamente riconducibili allo stato di impresa, siano essi Gestori o Appaltatori, pur con diverse garanzie e tutele. Molti di essi offrono servizi ulteriori legati allo svolgimento di attività collaterali per l’esercizio delle quali, giustamente, corrispondono alla proprietà dell’impianto dei canoni che non sono contrattualmente definiti “di locazione” ma di “fitto di ramo di azienda” e sono condotte in locali o pertinenze dell’immobile non sempre classificate C/1. Il DL Cura Italia all’articolo 65 prevede il diritto a un credito d’imposta pari al 60% del canone corrisposto alla proprietà riferito alla locazione del mese di Marzo a condizione che l’attività sia chiusa per effetto delle previsioni del DPCM. Nel caso dei distributori di carburanti, le attività collaterali (esclusi i bar) sono di fatto chiuse ancorchè siano all’interno di un’attività aperta per le citate motivazioni. Inoltre, dette attività sono svolte in immobili classificati non solo C/1 (negozio) ma anche C/3 (officina/gommista) o E/3 (piazzola autolavaggio) e quindi sfuggono all’applicazione dei benefici di legge. E’ pur vero che ai meccanici, ai gommisti e più in generale agli artigiani non è imposta la chiusura ma per la stragrande maggioranza di essi non è conveniente restare aperti e molti di loro, probabilmente, ricorreranno alla CIGS per i loro dipendenti e manterranno inalterati i costi di locazione dell’immobile nel quale esercitano normalmente la loro attivita’, non sempre classificato C/1. Questa è un’altra iniquità nascosta nelle pieghe del Cura Italia. A parità di problematica e di mancanza di entrate (incassi), diversità di trattamento. Almeno fino ad un autorevole intervento che auspico cominciare dal Suo giornale.
Italo Fara