La tesi prospettata dal contribuente è, nella sostanza, stata accolta dal Fisco, che coglie l’occasione per effettuare alcune utili distinzioni, nel più complessivo quadro delle norme regolanti le responsabilità fiscali per crediti illegittimamente compensati.
Premessa la definizione di errore sostanziale – come riportata dalla circolare 33/E/2022 (quale errore che incide sugli elementi essenziali della detrazione spettante e, quindi, del credito ceduto) – e premesso il riferimento al fondamentale dato normativo dell’articolo 121 D.L. 34/2020 – come interpretato dalla circolare 23/E/2023 (per cui sia la detrazione fiscale non spettante per assenza dei requisiti, sia i crediti che ne derivano, sono sempre oggetto di recupero in capo al contribuente titolare dell’agevolazione, con responsabilità del cessionario solo nell’ipotesi di concorso nella violazione con dolo o colpa grave) – l’Agenzia delle entrate afferma che il momento della commissione della violazione fiscale è da distinguersi, a seconda che le detrazioni siano :
- fruite in dichiarazione (emergendo la violazione nella relativa esposizione, separatamente per ciascuna annualità), ovvero;
- utilizzate a mezzo di opzione di cessione o sconto, configurandosi qui la violazione solo nel momento dell’effettivo uso in compensazione, da parte del cessionario, del credito indebito (per ivi concretizzarsi il danno per le casse erariali).
Alla luce di tale puntualizzazione, il Fisco offre allora una duplice soluzione alla problematica esposta, a seconda che il credito viziato da errore sostanziale sia già stato utilizzato in compensazione da parte del cessionario (in tutto o in parte) oppure no. Nel primo caso, il contribuente sarà tenuto a riversare detto credito a mezzo F24, oltre agli interessi e alle sanzioni al 30% (ai sensi dell’articolo 13, D.Lgs. 471/1997), ravvedibili, a norma dell’articolo 13, D.Lgs. 472/1997.
Nel caso in cui, invece, non sia stata ancora effettuata la compensazione del credito, la risposta ad interpello n. 440/2023 richiede al contribuente d’impedirla, comunicando all’Agenzia delle entrate e al cessionario l’inesistenza del credito ceduto, a mezzo PEC, all’indirizzo annullamentoaccettazionecrediti@pec.agenziaentrate.it.
In sostanza, la risposta ad interpello n. 440/2023 sollecita l’annullamento congiunto della comunicazione di opzione già accettata, con possibile sostituzione della stessa con una nuova nel rispetto dei termini ordinari annuali per l’invio, o avvalendosi della remissione in bonis e alle condizioni di questa (come da indicazioni della circolare n. 33/E/2022).
Tuttavia, si noti che tale ultima soluzione resta impraticabile nell’ipotesi in cui il primo cessionario (o il fornitore) abbiano già ceduto il credito, poiché l’annullamento a richiesta congiunta via Pec non è consentito ai soggetti facenti parte della successiva catena di cessioni (circolare n. 33/E/2022).
Ciò implica che il contribuente debba farsi “parte attiva”, per usare le parole dell’interpello, ripercorrendo l’intera catena dei soggetti successivi cessionari, avvisandoli del vizio del credito; e sia tenuto a riversare l’importo del credito in questione, legittimando il cessionario finale alla compensazione senza danno per l’Erario (possibilità suggerita anche laddove il primo cessionario o il fornitore rifiuti di annullare d’intesa col cedente la sua accettazione del credito viziato).
In tutto questo, resta aperto il capitolo degli interessi e delle sanzioni. Il contribuente, artefice di un credito erroneo probabilmente suo malgrado, è ammesso dalla risposta ad interpello n. 440/2023 a non versare né interessi né sanzioni, in sede di riversamento del credito: alla sola condizione che sia in grado di dimostrare la non avvenuta compensazione del credito da parte del cessionario finale alla data del riversamento. La prova di un fatto negativo, è noto, non è agevole, specie se è da ricondursi a fatti di altri: e se per un verso può ipotizzarsi che la stampata del cassetto fiscale dell’ultimo cessionario, evidenziante la mancata compensazione del credito contrassegnato dal codice univoco d’interesse, costituisca prova sufficiente ai fini in esame, per altro verso sono evidenti le difficoltà che i contribuenti incontreranno nel procurarsi tale documentazione, risultando essenziale al riguardo la collaborazione – non scontata – di ognuno dei soggetti coinvolti nella catena delle cessioni.