Crisi di impresa: cessione d’azienda e responsabilità dell’acquirente per i debiti fiscali
di Fabio GiommoniLa normativa fiscale prevede una responsabilità “rafforzata” in capo all’acquirente di un’azienda (o di un ramo di essa) che si sovrappone alle regole della responsabilità civilistica dettate dal comma 2 dell’articolo 2560 cod. civ., secondo il quale il cessionario risponde dei debiti afferenti all’azienda “se essi risultano dai libri contabili obbligatori”.
In ambito tributario, la disciplina speciale, prevista al fine di aumentare le tutele degli interessi erariali (dal momento che i debiti tributari connessi agli accertamenti possono anche non risultare dai libri contabili), è contenuta nell’articolo 14 D.Lgs. 472/1997, il cui comma 1 prevede che “il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”.
Il comma 5-ter del medesimo articolo 14 conferma che la disciplina in esame si applica, in quanto compatibile, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento d’azienda.
Le caratteristiche della responsabilità fiscale dell’acquirente sono, dunque, le seguenti:
- è sussidiaria in quanto è previsto il beneficio della preventiva escussione, che impone all’Ufficio di procedere, anzitutto, in via esecutiva nei confronti del cedente e soltanto dopo aver espletato detta fase il credito erariale può essere fatto valere nei confronti del cessionario;
- è limitata alle violazioni commesse e/o contestate nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due anni precedenti;
- opera nei limiti del valore dell’azienda acquisita che, ai sensi di quanto precisato dalla circolare 180/E/1998, deve essere individuato nel valore accertato dal competente Ufficio ovvero, in mancanza di accertamento, in quello dichiarato dalle parti nell’atto di cessione.
Inoltre, il comma 2 dell’articolo 14 stabilisce che la responsabilità del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
A tale riguardo, per tutelare la buona fede del cessionario, il comma 3 dell’articolo 14 prevede la possibilità per lo stesso di richiedere all’Ufficio un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario (del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta).
Il comma 4 dell’articolo 14 stabilisce, infine, che il cessionario si rende comunque responsabile (illimitatamente), per i debiti fiscali nell’ipotesi di cessione attuata in frode dei crediti tributari (ciò anche se la cessione è avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni).
La descritta disciplina di responsabilità fiscale del cessionario non opera in caso di crisi di impresa, in quanto il comma 5-bis dell’articolo 14 D.Lgs. 472/1997 stabilisce che le disposizioni del medesimo articolo 14 (salvo il caso di cessione in frode dei crediti tributari) non trovano applicazione quando la cessione dell’azienda avviene nell’ambito di:
- procedura concorsuale (fallimento, concordato fallimentare, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria);
- accordo di ristrutturazione dei debiti (ex articolo 182-bis della “vecchia” Legge Fallimentare);
- piano attestato di risanamento (articolo 67, comma 3, lettera d), della “vecchia” Legge Fallimentare);
- procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio.
La ratio dell’esclusione della responsabilità del cessionario è quella di facilitare il trasferimento di aziende e di rami d’azienda nell’ambito delle procedure di risoluzione delle crisi di impresa, eliminando quei rischi fiscali che avrebbero potuto disincentivare l’acquirente e favorendo quindi la continuazione dell’impresa e la salvaguardia dei posti di lavoro.
Tale esclusione è in linea con quanto previsto in ambito concorsuale dal nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. 14/2019 (CCII), il quale, in continuità con l’abrogata Legge fallimentare, prevede la possibilità di derogare alle disposizioni civilistiche di cui all’articolo 2560 cod. civ. nei casi di cessione d’azienda attuata in sede di liquidazione giudiziale (articolo 214 CCII) o in esecuzione di un concordato preventivo (articolo 118, comma 8, CCII).
Tuttavia, la normativa sulla crisi di impresa e quella tributaria non sono allineate con riferimento, da una parte, al piano attestato di risanamento e all’accordo di ristrutturazione dei debiti e, dall’altra, alla composizione negoziata della crisi di impresa.
Infatti, nell’ambito del piano attestato di risanamento e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti non è prevista la possibilità di derogare, per legge, all’articolo 2560 cod. civ. mentre, come detto, ai fini fiscali la disciplina di responsabilità del cessionario di cui all’articolo 14 D.Lgs. 472/1997non opera.
Nella composizione negoziata della crisi di impresa la situazione è esattamente inversa.
Infatti, l’articolo 22, comma 1 lett. d), CCII prevede che, su richiesta dell’imprenditore, il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, possa autorizzare il trasferimento dell’azienda, o di suoi rami, senza gli effetti di cui all’articolo 2560, comma 2, cod. civ., previa verifica del rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente.
Non è invece richiamata la norma di inapplicabilità della responsabilità dell’acquirente per i debiti tributari di cui all’articolo 14 D.Lgs. 472/1997, né, a tal fine, pare che possa essere invocata una interpretazione “analogica” rispetto all’elenco riportato nel comma 5-bis di tale articolo, in quanto la composizione negoziata non può essere considerata una “procedura concorsuale”.
D’altra parte non vi sono ragioni per non applicare l’esclusione della responsabilità fiscale dell’acquirente anche nell’ambito della procedura di composizione negoziata, visto che ciò è previsto per il piano di risanamento dal comma 5-bis dell’articolo 14, a fronte della cui introduzione, avvenuta ad opera del D.Lgs. 158/2015, sono venute meno quelle teorie che subordinavano la deroga alla responsabilità fiscale nelle sole procedure caratterizzate da un intervento dell’autorità giudiziaria, come il fallimento, il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione.
In passato, la R.M. 112/E/1999 aveva, infatti, limitato la responsabilità solidale a carico del cessionario di un’azienda, per il pagamento di imposte e sanzioni imputabili al cedente, alle sole “cessioni su base volontaria e negoziale e non già a quelle con evidenti profili pubblicistici”, quali quelle effettuate nell’ambito di fallimenti o quelle realizzate in esecuzione di concordati preventivi omologati, che “al pari delle vendite fallimentari, si configurano come atti di vendita coattivi, caratterizzati dai medesimi profili pubblicistici” (risposta a consulenza giuridica n. 21/2019).
Ma nel piano di risanamento mancano queste caratteristiche in quanto non vi è alcun intervento del Tribunale, nemmeno in sede di omologa, per cui la disapplicazione della responsabilità fiscale dovrebbe operare, a maggior ragione, in seno alla composizione negoziata della crisi di impresa, dove l’intervento del Tribunale è previsto proprio ai fini dell’autorizzazione alla cessione dell’azienda senza gli effetti di cui all’articolo 2560, comma 2, cod. civ..
Almeno in tale ipotesi parrebbe imprescindibile la disapplicazione della disciplina speciale di responsabilità fiscale in capo al cessionario, per cui è opportuno che il Legislatore intervenga quanto prima per allineare la normativa fiscale a quella della composizione negoziata, perché proprio l’assenza di una “copertura” sul lato dei debiti tributari in sede di cessione o conferimento d’azienda costituisce, come evidenziato da diversi commentatori, uno dei motivi per i quali la composizione negoziata non sta riscuotendo particolare successo.
Da ultimo pare opportuno evidenziare che la suddetta problematica non si verifica qualora la composizione negoziata – invece che con gli strumenti di cui al comma 1 dell’articolo 23, CCII (contratto con uno o più creditori, convenzione di moratoria o accordo di risanamento) – si concluda con gli strumenti previsti dal comma 2 dell’articolo 23, CCII (piano attestato di risanamento, accordo di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo semplificato, altre procedure concorsuali previste dal CCII), perché in quest’ultimo caso la disapplicazione della responsabilità fiscale del cessionario è assicurata dal disposto del citato articolo 14, comma 5-bis, D.Lgs. 472/1997.