Crisi, documenti fondamentali per bloccare le pretese del fisco
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365Le situazioni, reali e comprovate, di difficoltà economiche e di crisi prolungata, di questi tempi non mancano. Sul fronte fiscale, per quanto ciò possa apparire paradossale (chi è in seria difficoltà proprio non vuol sentir parlare di problematiche fiscali), è fondamentale avere l’idonea documentazione della situazione e degli interventi posti in essere per risolverla. Non bisogna girare attorno al problema: purtroppo i risultati presunti “antieconomici” conducono il contribuente all’interno delle liste selettive di vario genere. Sia sufficiente pensare che solitamente si registrano “non congruità” nell’ambito degli studi di settore o, comunque, non si è allineati ai risultati medi del settore di appartenenza.
L’impasse con l’Amministrazione finanziaria deve essere risolta preventivamente in contraddittorio in caso di convocazione. Per fare questo, il quadro completo degli accaduti deve essere idoneamente documentato ed è in sede di preparazione del bilancio e successiva dichiarazione che i primi passi devono essere effettuati, per poi avere maggiore facilità nella preparazione delle memorie da produrre all’Ufficio accertatore.
Un importante spunto difensivo in tale direzione è offerto dalla sentenza n. 27166 del 4 dicembre 2013, emanata dalla Corte di Cassazione, che chiaramente afferma come sia provato l’onere difensivo del contribuente che giustifica il mancato adeguamento agli studi di settore documentando la grave crisi finanziaria che ha colpito la sua attività, con tanto di esecuzione forzata delle unità immobiliari in cui la stessa era svolta, a seguito del mancato pagamento delle rate di mutuo. Situazioni del genere sono sicuramente diffuse, magari caratterizzate anche dalla cessazione dell’attività o ancora dall’accumulo di debiti con creditori esterni o anche con lo stesso Stato per imposte e contributi non pagati e in corso di rateazione con Equitalia. Diviene necessario provare che le difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività sono l’effetto della crisi, quale appunto l’impossibilità di pagare un mutuo, di andare avanti, di pagare le imposte, etc. Ad esempio, la perdita registrata in un anno può rappresentare, agli occhi del fisco, un elemento di presunta “antieconomicità” nella gestione dell’attività, a maggior ragione se la stessa è già stata registrata in anni precedenti ed appare magari in contrasto con una situazione florida sotto altri punti di vista (come l’elevato tenore di vita). Se invece la perdita è accompagnata da ulteriori gravi elementi, come la morosità o la cessazione dell’attività, o ancora una situazione debitoria complessiva particolarmente grave, è evidente l’infondatezza della presunzione collegata all’antieconomicità, dato che le circostanze e i fatti certi accaduti al contribuente dimostrano esattamente il contrario.
Molto dipende dal comportamento assunto dal contribuente. La conduzione diligente di un’attività richiede, in caso di situazioni critiche, l’adozione di una serie di accorgimenti per contenere la problematica, rilanciarsi, ristrutturarsi e migliorarsi nel tempo. La crisi esiste, ma da buon imprenditore non può essere subita passivamente. Rammentando che il processo tributario è di tipo documentale, sarà necessario documentare tutto quello che si è posto in essere, o si intende effettuare, per uscire dalla crisi: in tal modo, si riuscirà a dimostrare che non sussiste un risultato “antieconomico” frutto dell’evasione, bensì si è in presenza di un’oggettiva difficoltà temporale che gli interventi effettuati e programmati tentano di contenere e scongiurare.
Ecco dunque l’importanza degli atti ufficiali e dei primi passi da svolgere già in sede di redazione del bilancio e, soprattutto, dei documenti di supporto allo stesso. Ad esempio, segnalare in nota integrativa che la compagine societaria ha preso atto dei risultati poco lusinghieri, magari evidenziando le voci interessate e che già in un’apposita verbalizzazione ha fissato i provvedimenti da assumere, può essere di grande aiuto. Se a questo poi si accompagnano interventi effettivamente realizzati, come il contenimento di alcuni costi, vendite straordinarie, apporti dei soci per investimenti strutturali etc, la difesa può dirsi blindata.
Tutto ciò, peraltro è fondamentale anche nell’immediato, con particolare riguardo alla problematica dello studio di settore. In caso di non congruità infatti non sarà necessario “inseguire” il ricalcolo parametrico, quanto piuttosto prepararsi al contraddittorio, evidenziare tali argomenti già nelle annotazioni al modello studi, in modo da obbligare l’Amministrazione finanziaria ad un rilevante onere probatorio.
Su tale aspetto non bisogna dimenticare l’importante insegnamento della Corte di Cassazione (si rinvia nello specifico alla sentenza n. 26636/2009) che, nello statuire in maniera definitiva la portata di presunzione semplice degli studi di settore, ha soprattutto rimarcato che: “La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio ….. esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese.”.
Tradotto in termini pratici, l’assunto è il seguente: se il contribuente documenta, in contraddittorio, le ragioni del mancato adeguamento, compito preciso dell’Ufficio è di spiegare come mai “i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese”. La sequenza, in caso di non congruità legata alla crisi di risultati, è la seguente: 1) non cercare a tutti i costi la congruità; 2) documentare le motivazioni che impediscono la congruità; 3) prepararsi al futuro contraddittorio e, di fatto, invertire l’onere probatorio. Già la crisi è un brutto cliente, figuriamoci se debba “portare in dote” anche le pretese del fisco: non resta che prevenire in maniera opportuna.