Criteri di valutazione della quota di uno studio associato in ipotesi di recesso
di Barbara Marrocco di MpO & PartnersIl rapporto tra lo studio associato e il singolo professionista può interrompersi in seguito al recesso dell’associato; in tale ipotesi, in virtù della generale equiparazione delle strutture associative professionali a quella delle società semplici, sarà necessario procedere alla liquidazione della quota spettante al socio recedente sulla base della situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (art. 2289 cod. civ.).
Qualora, invece, lo statuto indichi i criteri di liquidazione della quota del socio uscente, la stessa dovrà essere effettuata sulla base di tale accordo statutario.
In assenza di un metodo legale e univoco di valutazione delle partecipazioni societarie, si ritengono applicabili anche agli studi associati alcuni principi contenuti nel Documento della Fondazione Nazionale Commercialisti del 15 novembre 2015, il quale ha esaminato una serie di aspetti dai rilevanti risvolti pratici nelle ipotesi di recesso ed esclusione nelle società di persone.
Si ritiene applicabile anche ad uno studio associato, ad esempio, il disposto della Cassazione citato nel suddetto Documento (Sent. 7595/1993, in materia di recesso del socio da società di persone), secondo il quale ‘per il calcolo di liquidazione della quota, a norma dell’art. 2289 secondo comma cod. civ., deve tenersi conto della effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività della azienda stessa. Tale redditività, in cui si sostanzia il concetto di avviamento, deriva da un complesso di elementi che, se pure cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondono sui risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti e si traduce nella probabilità, proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, derivati dall’apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale’.
La liquidazione della quota spettante al socio recedente (il cui valore considerato non è quello nominale, ma quello rapportato al patrimonio) deve essere corrisposta entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, senza alcuna corresponsione di interessi. Nulla vieta, tuttavia, di procedere ad un pagamento immediato a favore dello stesso, qualora non ci siano cause ostative.
L’obbligo di liquidare la quota è a carico dello studio associato, e solo in via sussidiaria dei soci restanti, dato che l’associazione professionale è soggetto di diritto ed è titolare di un autonomo patrimonio.
Inoltre, al fine di salvaguardare l’integrità dell’associazione professionale, indipendentemente dalle vicende personali dei singoli professionisti, non è configurabile, per il socio che recede, un diritto alla restituzione in natura dei beni conferiti in proprietà o in godimento.
In relazione alla concreta determinazione del valore della quota da liquidare al socio che recede, è necessario tener conto degli utili/perdite sulle operazioni in corso (art. 2289, c. 3, cod. civ.) e della quota di avviamento dello studio associato, in considerazione del fatto che dalla costituzione dello studio al momento del recesso dell’associato si potrebbe rilevare un maggior valore, che deve essere riconosciuto anche al socio uscente.
Con riferimento agli utili o alle perdite sulle operazioni in corso, andranno considerati eventuali utili (o perdite) maturati fino allo scioglimento del rapporto e non ancora distribuiti e le competenze spettanti per i conferimenti di incarico già avviati ma non ancora ultimati, per i quali le prestazioni sono già state erogate e non ancora incassate.
Pertanto, al fine di definire la liquidazione in tempi rapidi si potrebbe procedere ad una liquidazione provvisoria, relativa alla quota di avviamento, alla quale far seguire eventuali conguagli sulla base del completamento delle operazioni in corso.
Per quanto riguarda l’avviamento, sebbene nell’ambito dello svolgimento dell’attività professionale possa suscitare perplessità il riferimento ad un avviamento in senso commerciale, è innegabile che l’organizzazione dello studio associato sia dotata di una sua autonomia rispetto alla figura dei professionisti, in termini ad es. di capacità attrattiva del brand nei confronti della clientela, di organizzazione delle risorse umane impegnate nello svolgimento dell’attività, di un know how complessivo della struttura. Tutto ciò, da considerarsi strettamente integrato con il complesso dei rapporti di prestazione professionale in essere con la clientela, costituisce il c.d. “avviamento professionale” dello studio, il quale deve essere oggetto di una specifica attività valutativa.
Con riferimento al calcolo dell’avviamento, nella prassi, i metodi più idonei utilizzati sono il metodo reddituale o il metodo finanziario, in base ai quali si analizzano i risultati economici o i flussi di cassa della gestione passata e presente e si procede all’attualizzazione dei redditi/flussi di cassa prospettici in un intervallo di breve/medio periodo.
Il valore della quota da liquidare deve, inoltre, tener conto dell’avviamento correlato alla figura del professionista che recede, in particolare, considerando che i clienti che assiste personalmente, e che dopo il recesso lo seguiranno, dovranno essere decurtati dal valore complessivo dello studio (e della relativa quota). Si ritiene, pertanto, che un calcolo corretto della liquidazione della quota sia da strutturare secondo una logica di determinazione del valore complessivo dell’associazione cui si andrà poi a scomputare l’avviamento correlato alla clientela di competenza del socio che recede.
Quando oggetto di analisi è il valore di un’attività professionale, l’avviamento è strettamente legato alle caratteristiche dello studio e all’elemento personale soggettivo, di natura immateriale, derivante dal rapporto fiduciario tra professionista e cliente, pertanto, di solito, si esclude l’applicabilità dei metodi patrimoniali, in quanto gli stessi ben si adattano alle realtà dagli ingenti investimenti patrimoniali ma tendono a sottovalutare il capitale economico degli studi professionali.
Ne deriva che il metodo reddituale o il metodo finanziario, a seconda delle caratteristiche dell’attività e delle finalità dell’analisi, permetterà di determinare il valore della quota del socio che recede, ma tale valore dovrà necessariamente essere integrato con gli utili (perdite) per le operazioni in corso, maturati e non ancora corrisposti.