10 Dicembre 2015

Criticità degli immobili di interesse storico-artistico

di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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La disciplina degli immobili di interesse storico-artistico, da sempre oggetto di analisi da parte della prassi, ha subito nel 2012 un intervento significativo dal punto di vista della fiscalità diretta con il D.L. 16/2012. Si ritiene opportuno attribuire a tale fattispecie una categoria normativa di riferimento, ovvero, rientrano nella definizione di immobili di interesse storico o artistico quelli contenuti all’interno dell’articolo 10 D.Lgs. 42/2004 (c.d. codice dei beni culturali). Va da sé, quindi, che tale tipologia di beni è gravata da oneri cospicui, considerazione sostenuta anche dalla Cassazione con la sentenza 5518/2011: “i proprietari degli immobili appartenenti alla tipologia considerata dalla norma in questione debbono affrontare, nell’interesse pubblico alla conservazione dei beni culturali, costi di manutenzione così rilevanti da rendere non sicuramente determinabile il reddito effettivo”. Infatti, la precedente normativa fiscale stabiliva, con il comma 2 dell’articolo 11 della L. 413/1991, che: “in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 3 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”. Il trattamento degli immobili con le caratteristiche di cui all’articolo 10 del D.Lgs. 42/2004 era sicuramente di favore per il contribuente, vista l’applicazione della c.d. “rendita figurativa” e vista la presenza nella norma della locuzione “in ogni caso”, che ha portato la giurisprudenza a considerare l’agevolazione de quo applicabile anche ai casi di locazione (in tal senso si veda la sentenza 19251/2012).

Con il D.L. 16/2012, articolo 4, comma 5-quater, viene abrogata la disposizione sopra citata e quindi le situazioni che attualmente si rilevano per il contribuente, che non opera come locatore, sono le seguenti:

  • per le persone fisiche, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del D.Lgs. 23/2011, l’imposta municipale propria è istituita e sostituisce, per la componente immobiliare, l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e l’imposta comunale sugli immobili. Tale considerazione non è valida per il reddito degli immobili ad uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale, assoggettati all’imposta municipale propria, che concorre alla formazione della base imponibile dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali nella misura del cinquanta per cento, ai sensi del terzo periodo del comma 9 dell’articolo 9 del decreto sopra citato.

Inoltre l’articolo 13 comma 3 del D.L. 201/2011 stabilisce che la base imponibile dell’imposta municipale propria è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del D.Lgs. 504/1992, e dei commi 4 e 5 dello stesso articolo. Quest’ultima è ridotta del 50 per cento per i fabbricati di interesse storico o artistico di cui all’articolo 10 del codice di cui al D.Lgs. 42/2004;

  • per le società, ai sensi dell’articolo 90 TUIR, comma 1, il reddito medio ordinario di cui all’articolo 37, comma 1, è ridotto del 50 per cento e non si applica comunque l’articolo 41.

Nella circostanza invece che il contribuente percepisca dei redditi derivanti da locazione è stato stabilito che:

  • per le persone fisiche, ai sensi del comma 4 bis dell’articolo 37 TUIR, se il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 35% è superiore al reddito medio ordinario di cui al comma 1, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione;
  • per le società, ai sensi dell’articolo 90 TUIR, comma 1, si è legiferato in egual maniera ovverosia il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione, se il canone risultante dal contratto di locazione ridotto del 35% risulti superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare.