Dal 12 marzo 2016 dimissioni efficaci solo con il modulo telematico
di Luca VannoniCon la pubblicazione nella GU 11 gennaio 2016 n.7 del DM 15 dicembre 2015 sono state definite la procedura telematica e le modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, attuando quanto previsto dall’art. 26 del D.Lgs. 151/2015 (c.d. Decreto Semplificazioni Jobs Act).
Le nuove regole saranno pienamente operative a decorrere dal 12 marzo 2016.
Tra i tanti decreti attuativi del Jobs Act – basti pensare al decreto che dovrà individuare i criteri di valutazione delle domande di CIGO, il cui termine di emanazione è già ampiamente scaduto -, quello sulle dimissioni era sicuramente il meno atteso, per non dire di peggio.
Per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, la L. n.92/2012, la c.d. Legge Fornero, aveva introdotto l’attuale disciplina, in base alla quale la convalida delle dimissioni presentate può essere effettuata in calce alla comunicazione di cessazione CO; in mancanza, è prevista una procedura attivabile dal datore di lavoro che, anche in assenza di riscontro da parte del lavoratore, portava all’efficacia delle dimissioni.
Forse per la paura che la firma in bianco fosse apposta anche sul foglio su cui stampare la CO, il Governo ha deciso di intervenire nuovamente sulla materia, con una soluzione che francamente lascia perplessi, se non altro per il fatto che in caso di mancata attivazione da parte del lavoratore della procedura prevista, per il datore di lavoro non è prevista alcuna iniziativa che possa portare all’efficacia dell’atto interruttivo. Ipotesi che, oltre ai casi fisiologici e ormai noti di dimissioni per fatti concludenti o senza preavviso, troverà nuovo carburante nella complessità della nuova procedura.
Il lavoratore dovrà infatti comunicare dimissioni, o risoluzione consensuale, mediante un modulo accessibile dal sito del Ministero del Lavoro: per far ciò, il lavoratore dovrà richiedere, se non ne è in possesso, il PIN INPS, che consentirà di essere riconosciuto dal sistema informatico del Ministero del Lavoro, così da accedere all’agognato modulo, che verrà poi inoltrato al datore di lavoro e alla DTL.
Come unica strada alternativa, il lavoratore potrà effettuare la procedura tramite patronati, organizzazioni sindacali nonché gli enti bilaterali e le commissioni di certificazione.
Inoltre, il comma 2 dell’art. 26 del D.Lgs. 151/2015 prevede che, una volta inviato il modulo il lavoratore ha, comunque, la possibilità di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale entro i successivi sette giorni.
Cosa fare, quindi, in caso di inerzia del lavoratore? Che valore può avere una successiva comunicazione del datore di lavoro di messa in mora, così come è possibile fino all’11 marzo 2016? Stante il tenore letterale della norma, l’inefficacia non sembra possa essere superata da qualsiasi soluzione fai da te.
Certo, il datore di lavoro, in assenza di prestazione e stante l’inefficacia delle dimissioni, potrebbe procedere con il licenziamento per assenza ingiustificata, a titolo di giusta causa, ma con un costo in più legato al ticket licenziamento, pari a circa 1.500 euro per le anzianità aziendali superiori a 3 anni.
Più che i chiarimenti ministeriali, si spera una rapida modifica normativa – già, di una norma non ancora in vigore – in quanto incertezze sulla cessazione del rapporto potrebbero determinare danni organizzativi e produttivi. In assenza di revisioni normative, pare soluzione interessante quella di inserire nella lettera di assunzione una clausola penale che, in caso di licenziamento derivante da assenza ingiustificata per mancata procedura di efficacia delle dimissioni, preveda il recupero dalle competenze di fine rapporto del lavoratore degli oneri sostenuti dal datore di lavoro, compreso il ticket licenziamento. Per i lavoratori già in forza, questa compensazione atecnica in assenza di vincolo contrattuale potrebbe determinare un contenzioso dall’esito quanto mai incerto.