30 Dicembre 2019

Dal 2020 aliquote Imu revisionate a seguito dalla fusione con la Tasi

di Fabio Garrini
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La scheda di FISCOPRATICO

La Legge di bilancio, nella soppressione della Tasi a seguito dell’accorpamento con l’Imu, ha riformulato la disciplina delle aliquote dell’imposta municipale, introducendo una limitazione per i Comuni alla possibilità di differenziare le proprie aliquote: dal 2021 (quest’ultima previsione è infatti differita di un anno) il Comune potrà continuare a stabilire la misura del prelievo per le diverse fattispecie, ma si dovrà attenere ad uno specifico schema che sarà identico per tutti i comuni italiani.

Tale misura costituisce una limitazione alla potestà regolamentare del singolo ente, ma ha il pregio di semplificare molto gli adempimenti richiesti ai contribuenti, che talvolta si sono trovati alle prese con delibere oltremodo “fantasiose”, senza dimenticare che i vincoli incrociati tra Imu e Tasi creavano delle situazioni certe volte (ingiustificatamente) articolate.

 

La previgente articolazione delle aliquote Imu e Tasi

Spesso, anche recentemente, sulle pagine della presente rivista telematica ci siamo occupati del complesso meccanismo che governava le aliquote Imu e Tasi.

L’imposta sui servizi indivisibili, infatti, era caratterizzata da un vincolo incrociato con la corrispondente aliquota Imu: la somma delle aliquote della Tasi e dell’Imu, per ciascuna tipologia di immobile, non poteva essere in ogni caso superiore all’aliquota massima consentita per l’Imu (1,06 per cento per la generalità degli immobili).

A questo occorre aggiungere l’ulteriore considerazione che non esistevano limiti alla differenziazione delle aliquote Imu, ragione per cui ogni ente poteva stabilire liberamente categorie di immobili alle quali attribuire diverse aliquote.

Sul tema, la circolare 3/DF/2012 affermava che tale diritto di diversificazione doveva essere ispirato ai criteri di ragionevolezza e non discriminazione (per agevolare situazioni meritevoli e disincentivare situazioni meno meritevoli). Secondo il Ministero questo sarebbe dovuto avvenire tramite una differenziazione nell’ambito della stessa fattispecie impositiva, all’interno del gruppo catastale, con riferimento alle singole categorie.

Ma tale interpretazione non sempre limitava l’estro creativo della singola amministrazione.

Questo evidentemente comportava la creazione di infinite fattispecie nei diversi comuni Italiani, obbligando il contribuente (o il suo consulente) ad una attenta lettura del regolamento comunale.

 

La nuova disciplina delle aliquote Imu

La soppressione della Tasi ha avuto, quale beneficio immediato, la scomparsa di ogni necessità di effettuare la verifica incrociata tra le due imposte: dal 2020 è prevista unicamente l’Imu, e quindi occorre semplicemente verificare quale sia l’aliquota dell’imposta municipale applicabile alla specifica fattispecie.

La Legge di bilancio, avendo comportato la soppressione della Tasi (scelta condivisibile, visto che i due tributi presentavano forti sovrapposizioni), ha stabilito che il gettito della tassa sui servizi sarà sostituito dall’Imu, che quindi sarà fondata su un’aliquota base incrementata, che sale dallo 0,76% allo 0,86%.

Aliquota che ciascun Comune può portare sino all’1,06%; viene concesso, ai Comuni che hanno già esercitato in passato la facoltà di aumentare l’aliquota Tasi dello 0,8 per mille, di incrementare, dal 2020, l’aliquota Imu fino all’1,14%.

Ma l’aspetto più interessante, a parere di chi scrive, risiede nella tipizzazione delle ipotesi alle quali ciascun ente potrà attribuire una diversa aliquota.

Ai sensi del comma 756, a decorrere dall’anno 2021 (quindi, per il 2020, ogni Ente avrà ancora libertà di azione), i Comuni potranno diversificare le aliquote esclusivamente con riferimento alle fattispecie individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Il rinvio nell’applicazione di tale previsione è probabilmente legato all’iter di approvazione di detto decreto, che dovrà essere adottato entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge, sentita la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Decorso il termine di quarantacinque giorni, il decreto può essere comunque adottato.

Il comma 757 obbliga i Comuni ad avvalersi di una sorta di griglia di aliquote messa a disposizione dal Portale del federalismo fiscale tramite un’applicazione che consente, previa selezione delle fattispecie di interesse del Comune tra quelle individuate con il decreto citato, di elaborare il prospetto delle aliquote che forma parte integrante della delibera di approvazione delle stesse.

Pertanto, la delibera approvata senza il prospetto non è idonea a produrre effetti.

Con lo stesso decreto sono stabilite le modalità di elaborazione e trasmissione al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze del prospetto delle aliquote.

Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa, la realizzazione di tale sistema dovrebbe produrre la semplificazione e razionalizzazione del tributo ai fini dell’applicazione dello stesso e della determinazione degli importi da corrispondere da parte del contribuente.

Questo però, come detto, solo dal periodo d’imposta 2021.

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Novità fiscali 2020: la legge di bilancio e il collegato fiscale