Dal conto “in rosso” è possibile presumere ricavi evasi
di Angelo GinexLa presenza di un saldo negativo di cassa, ravvisabile allorché le voci di spesa superino gli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile legittimante l’esecuzione di un accertamento induttivo del reddito d’impresa, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 28715 del 09.11.2018.
La vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento, a seguito di accertamento induttivo ex articoli 39 D.P.R. 600/1973 e 54 D.P.R. 633/1972, mediante il quale l’Amministrazione finanziaria contestava maggiori ricavi non dichiarati, in quanto non fatturati, derivanti da attività di prestazione di servizi e da un canone di locazione.
La società contribuente impugnava, dunque, detto atto impositivo, il quale veniva parzialmente annullato.
Contro la sentenza dei giudici di prime cure proponeva, allora, appello l’Ente impositore, il quale veniva tuttavia rigettato, sull’assunto che l’indizio rappresentato dalla cassa negativa non fosse idoneo a far presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati e, per l’effetto, a fondare un accertamento di tipo induttivo.
Avverso detto provvedimento di reiezione l’appellante proponeva, infine, ricorso per cassazione ex articolo 360, comma 1 n. 3) c.p.c., contestando, tra gli altri motivi, l’erronea applicazione dell’articolo 39, comma 2, lett. d), D.P.R. 600/1973 e l’insufficiente motivazione della sentenza d’appello.
In particolare, stando alle doglianze del ricorrente, il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere insufficiente a far presumere l’esistenza di ricavi evasi e non contabilizzati la presenza di un ammanco di cassa e l’omessa contabilizzazione degli anticipi dei soci e del canone di locazione.
Infatti, il giudice di seconde cure, negando l’idoneità della presenza di un saldo negativo di cassa a fondare l’accertamento induttivo di cui agli articoli 39 D.P.R. 600/1973 e 54 D.P.R. 633/1972, avrebbe con ciò escluso, consequenzialmente, la presenza di inesattezze e di irregolarità formali tanto gravi, numerose e reiterate dalle quali sarebbe stato possibile desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, lett. d), D.P.R. 600/1973.
Da ultimo, il giudice del gravame, dalle argomentazioni addotte, avrebbe tratto l’errata conclusione che la presenza di una cassa negativa, non supportata da altri elementi indiziari, non sarebbe stato indizio sufficiente di evasione fiscale.
I Supremi giudici, tuttavia, riformando la decisione del giudice del gravame, e con ciò accogliendo il ricorso dell’Ente impositore, hanno nel merito ribadito l’equiparazione del conto cassa alle scritture contabili, ancorché non obbligatorie, e la sua idoneità ad essere utilizzato dall’Ufficio, quale documento dell’impresa, ai fini dell’accertamento con metodo induttivo.
Più precisamente, richiamando plurimi e consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia, i medesimi hanno chiarito che, ai fini dell’accertamento del reddito d’impresa col metodo di cui agli articoli 39 D.P.R. 600/1973 e 54 D.P.R. 633/1972, la presenza di un saldo negativo di cassa, ravvisabile nella presenza di voci di spesa di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a rappresentare un’anomalia di tipo contabile, farebbe presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo (cfr. ex multis Cass., ord. 25289/2017; Cass., sent. 11988/2011; Cass., sent. 27585/2008).
Tanto sarebbe presumibile, in quanto la chiusura “in rosso” di un conto di cassa fa presagire, senza ombra di dubbio, che le spese superino gli introiti contabilizzati e che, dunque, esistano altri ricavi non registrati, e quindi evasi, almeno equivalenti al disavanzo (cfr. Cass., sent. 27585/2008; Cass., sent. 24509/2009).
Pertanto, nel caso in rassegna, la sentenza d’appello è stata ritenuta censurabile nella parte in cui, pur avendo evidenziato l’anomalia contabile, sintomo delle omesse registrazioni dei ricavi, ne escludeva la rilevanza a legittimare la rettifica del reddito d’impresa con il metodo induttivo, in quanto priva degli indici di gravità e di reiterazione richiesti dall’articolo 39, comma 2, lett. d), D.P.R. 600/1973.
Si è reso, dunque, necessario cassare la sentenza rinviandone nuovamente l’esame ai giudici del gravame.