Dalla strega di Zardino al Campari shakerato
di Chicco RossiNon molto tempo fa, su un quotidiano ho letto un’intervista a Sebastiano Vassalli, fine scrittore, e mi è venuta voglia di leggere “La chimera”, probabilmente la sua opera più fortunata e quindi conosciuta, tant’è vero che con questo romanzo Vassalli ha vinto sia il Premio Strega che il Campiello, mica poco direi.
La storia, che vede per protagonista la bella Antonia si sviluppa in un villaggio del Seicento, a oggi non più esistente, di nome Zardino nelle basse di Novara.
E forse è proprio per questa bellezza che Antonia viene tacciata di essere una strega, la strega di Zardino. La conseguenza è la condanna al rogo. Non erano ancora i tempi degli appelli, contrappelli e dei 30 anni per avere delle sentenze.
Il romanzo offre l’occasione per ripercorrere i pregi e i difetti di quello che la Chiesa è stata nel passato, con i suoi eccessi e le sue, bisogna dirlo, ingiustizie, dirette conseguenze delle limitate conoscenze di quei tempi. Basti pensare che si credeva nell’esistenza della “fiera bestia”. In certi passaggi sembra di tornare ai tempi di echiana memoria, leggasi “Il nome della Rosa”, mentre in altri ricorda “L’albero degli zoccoli” del maestro Olmi, penultima affermazione italiana a Cannes.
L’occasione è buona per fare una passeggiata a Novara dove, tra le altre cose, si svolge il processo ad Antonia, ma prima faremo una puntata in un lago che non sarà tra i più rinomati di Italia ma sicuramente è romantico e ideale per trascorrere un veloce weekend, prima di tuffarci nel Natale.
Destinazione è Orta San Giulio, romantico paesino che si affaccia sul lago e che alle sue spalle è protetto dal Sacro Monte, patrimonio dell’Unesco.
A differenza degli altri Sacri Monti alpini, questo è l’unico interamente dedicato ad un santo, infatti, le 20 cappelle, affrescate dal Morazzone, che lo compongono raffigurano episodi della vita e dei miracoli di San Francesco d’Assisi.
Un forte impulso all’edificazione delle cappelle, che in origine dovevano essere 32, lo si deve anche al vescovo di Novara, quel Carlo Bascapè che si incontra nel libro del Vassalli sia all’inizio quando fa visita al convento dove è Antonia, sia nelle fasi drammatiche del processo quando non vi prende parte, segnando così la sorte della ragazza.
In fronte al paese, nel mezzo del lago, si trova l’Isola di San Giulio, con l’omonima basilica, edificata nel IV secolo e ricostruita tra il IX e l’XI secolo.
Ma prima di andare a prendere il battello che ci porta a S. Giulio bisogna ristorarsi e la scelta cade in una piccola enoteca nascosta ai più: “Al Bueuc”,
La scelta non è di quelle da haute cuisine ricordatevi sempre quel che disse Cracco.
Ad accompagnare uno splendido tagliere di salumi dove il re risponde al nome di Fidighina, una sorta di mortadella di fegato cruda, a base di carne e fegato di maiale.
Ad accompagnare questo pranzo un Ghemme riserva docg della cantina Rovellotti. Un vino prodotto con le uve provenienti dai vitigni nebbiolo e vespolina. La gradazione, non è il massimo per Chicco Rossi che ama vini strutturati, infatti si attesta sugli 12,5%. Il colore è rosso granato intenso. All’olfatto si esalta il profumo caratteristico intenso di violette, con sentori speziati, etereo e di liquirizia. In bocca il gusto è tannico, con una buona acidità.
Questo vino ha avuto nel tempo estimatori illustri quali Antonio Fogazzaro che nel suo capolavoro “Piccolo mondo antico” cita il vin di Ghemme” e Mario Soldati che nel racconto “L’albergo di Ghemme” decanta “Il Ghemme: eccellente, prim’ordine. Lo definirei un Gattinara più spesso, più scuro, più violento. Meno trasparente, meno liquoroso, meno raffinato: ma forse più genuino”.
Per la sera possiamo fare una toccata e fuga nel capoluogo di provincia: Novara per visitare la Basilica di San Gaudenzio che si caratterizzata dall’imponente cupola neoclassica a pinnacolo alta ben 121 metri, ma soprattutto per fare un doveroso aperitivo a base di Campari. Eh si, perché Novara è la patria del Campari, è qui che nel 1860 Gaspare Campari creò, al fu Bar dell’Amicizia, quello che rappresenta uno degli apertivi più conosciuti al mondo.
Per la cena, non si può non assaggiare la paniscia, risotto a base di riso arborio, fagioli borlotti, cavolo verza, carota, sedano, cipolla, vino rosso, lardo, cotica di maiale, “salam d’la duja” (insaccato che prende il nome dal contenitore dove viene lasciato a maturare, la duja, in latino Dolia, un boccale di terracotta e composto da carni suine), sale e pepe.
Doveroso di accompagnamento è un Gattinara riserva che ci garantisce un titolo alcolometrico minimo di 13% (ma ci rifaremo l’anno che verrà: obiettivo sua maestà Angelo Gaja).
Come secondo non si può non assaggiare il gorgonzola DOP, nelle due varianti dolce e piccante che non ha nulla da invidiare al decantato roquefort. Certo che un po’ di roquefort con marmellata di arance e un bel bicchiere di Chateau d’Yquem. Direttore agevoliamo?
E il dolce? Una sorpresa più unica che rara: il “Biscottino di Novara“, il papà dei pavesini, così torniamo tutti bambini … in fin dei conti oggi è Santa Lucia.