È davvero a rischio la natura assicurativa delle polizze vita?
di Angelo GinexNegli ultimi giorni ha destato molto clamore la pronuncia della Corte di Cassazione in tema di polizze vita (cfr., Cass., ordinanza n. 10333 del 30.04.2018), poiché – a detta dei primi commentatori – i giudici di Piazza Cavour avrebbero preso posizione sulla qualificazione di tali contratti, mettendone in discussione la natura assicurativa.
Al fine di comprendere esattamente quanto statuito dalla Suprema Corte nella pronuncia indicata, è d’uopo ripercorrerne brevemente gli elementi fattuali.
Nel 2006 una persona fisica sottoscriveva un contratto di assicurazione sulla vita, avente quale beneficiario il proprio figlio, per il tramite di una fiduciaria. Successivamente, l’assicurato e la fiduciaria convenivano in giudizio la società di assicurazioni, chiedendo, tra l’altro, la risoluzione di tale contratto per inadempimento, sia nella fase di formazione che in quella di esecuzione dell’accordo.
A seguito di rigetto in primo grado, l’assicurato e la fiduciaria proponevano impugnazione dinanzi alla Corte d’appello, la quale, in accoglimento della stessa, statuiva che, “mancando la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza e quindi la natura assicurativa del prodotto, quest’ultimo doveva essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte dell’assicurato”.
Trattandosi, pertanto, di investimento in uno strumento finanziario, in cui il rischio di “performance” è per intero addossato all’assicurato, e non di una polizza assicurativa sulla vita, in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore:
- investitore doveva considerarsi la persona fisica e non la fiduciaria;
- l’adempimento degli obblighi informativi, previsti dal TUF e dai regolamenti Consob e gravanti in capo all’intermediario (rectius, alla società di assicurazioni), doveva essere accertato nei confronti della persona fisica e non della fiduciaria.
Tale accertamento evidenziava, secondo i giudici di merito, un inadempimento della società di assicurazioni sia nella fase di formazione che in quella di esecuzione dell’accordo, e quindi essi concludevano per la risoluzione del contratto, con conseguente obbligo di restituzione dell’importo corrisposto dall’assicurato.
La società di assicurazioni proponeva pertanto ricorso per cassazione, eccependo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni sull’assunto che:
a) le parti del contratto erano essa stessa e la fiduciaria;
b) gli obblighi informativi erano stati puntualmente assolti nei confronti della fiduciaria.
Ebbene, nella pronuncia in rassegna, la Corte di Cassazione ha affermato che:
- il motivo di cui al punto a) è inammissibile, atteso che la rivalutazione dell’accertamento di fatto, peraltro condotto dal giudice di merito sulla scorta di principi consolidati (cfr., , sentenza n. 6061/2012), è preclusa in sede di legittimità, non avendo la citata censura natura di denuncia di vizio motivazionale;
- il motivo di cui al punto b) è infondato, atteso che, qualora si assuma che l’investitore non è la fiduciaria ma la persona fisica, l’adempimento degli obblighi dell’intermediario finanziario deve essere valutato nei confronti di quest’ultimo, e non nei confronti della fiduciaria.
Dunque, appare evidente che, come evidenziato da Ania con comunicato stampa 7.5.2018, la Corte di Cassazione non prende affatto posizione sulla qualificazione dei contratti di assicurazione sulla vita in senso lato, ma interviene in un caso specifico, che è caratterizzato dal ruolo assunto da una fiduciaria e da errori di trasparenza e di comportamento relativi a un singolo prodotto commercializzato nel 2006.
Peraltro, è noto a tutti che, a partire dal 25.1.2017, le polizze vita di ramo III sono espressamente qualificate come prodotti finanziari, con la conseguenza che per esse trovano indubbiamente applicazione le specifiche disposizioni dettate dal TUF e dai regolamenti Consob.
Al contrario, ciò che dovrebbe destare maggiore preoccupazione è la perdita degli effetti fiscali e civili, in termini di imposta di successione, pignorabilità e sequestrabilità, che potrebbe derivare da una riqualificazione della polizza vita in contratto di investimento, tema interessante e certamente non affrontato nella pronuncia in rassegna.
Ancorché permangano molti dubbi sul punto, taluni hanno tuttavia osservato che, laddove la polizza vita venisse strutturata come contratto a favore di terzo, la struttura dell’operazione non sembra cambiare anche in presenza di una riqualificazione da parte del giudice, con la conseguenza che gli effetti non dovrebbero risultare compromessi.
16 Maggio 2018 a 8:29
Ci voleva qualcuno che riconducesse i fatti alla verità