Decreto Sostegni: le disposizioni su Tari e tariffa corrispettiva
di Gennaro NapolitanoNell’ambito delle nuove misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza Covid-19, il D.L. 41/2021 (c.d. Decreto Sostegni) contiene anche disposizioni in materia di tassa sui rifiuti (Tari) e tariffa corrispettiva.
L’articolo 30, comma 5, del decreto, infatti, prevede lo slittamento al 30 giugno 2021 del termine per l’approvazione, da parte dei Comuni, delle tariffe e dei regolamenti della Tari e della tariffa corrispettiva.
Prima di passare in rassegna nel dettaglio le novità introdotte dal Decreto Sostegni è utile ricordare sinteticamente i tratti essenziali della disciplina della Tari.
La c.d. tassa sui rifiuti è il tributo destinato al finanziamento dei costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Introdotta, a partire dal 2014, dalla Legge di stabilità per il 2014 (L. 147/2013), la Tari, congiuntamente all’imposta municipale propria (c.d. Imu) e al tributo per i servizi indivisibili (c.d. Tasi), faceva parte dell’imposta unica comunale (c.d. Iuc).
Dal 2014, quindi, la tassa sui rifiuti ha sostituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (c.d. Tares, che, peraltro, è stato vigente solo per il 2013 e che, a sua volta, aveva sostituito tutti i precedenti tributi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, vale a dire Tarsu, Tia1, Tia2).
Successivamente, la Legge di bilancio per il 2020 (L. 160/2019) ha abolito, a partire dal 2020, l’imposta unica comunale e il tributo per i servizi indivisibili, lasciando in vigore, invece, gli altri due tributi che componevano la Iuc, cioè l’Imu (la cui disciplina, peraltro, è stata modificata dalla stessa L. 160/2019) e la Tari.
Sotto il profilo soggettivo, la Tari è dovuta da chiunque possieda o detenga, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti.
Detto altrimenti, il tributo è dovuto dal soggetto utilizzatore dell’immobile.
Nell’ipotesi di detenzione breve dell’immobile, di durata non superiore a sei mesi, invece, la Tari non è dovuta dall’utilizzatore, ma resta esclusivamente in capo al possessore (proprietario o titolare di usufrutto, uso, abitazione o superficie). In presenza di più utilizzatori, gli stessi sono tenuti in solido all’adempimento dell’unica obbligazione tributaria.
Come ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza, ai fini del sorgere dell’obbligo tributario è rilevante la potenzialità del locale o dell’area a produrre rifiuti.
Ne consegue che la mancata utilizzazione dei locali o delle aree, derivante da una scelta dell’occupante, non esclude di per sé il sorgere dell’obbligo di corrispondere la Tari. Per evitare il versamento del tributo, infatti, il contribuente è tenuto a dimostrare l’inidoneità del locale o dell’area a produrre i rifiuti in quanto oggettivamente inutilizzabile.
Rientrano nell’ambito di applicazione della Tari anche le pertinenze dei locali adibiti a civile abitazione, mentre ne restano escluse le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali non detenute o possedute in via esclusiva.
Alla luce di quanto stabilito dall’articolo 1, comma 668, L. 147/2013, i Comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, mediante proprio regolamento, prevedere, in luogo della Tari, l’applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Ciò detto con riguardo alla disciplina di riferimento, il Decreto Sostegni stabilisce che, limitatamente al 2021, in deroga alla normativa vigente (cfr. articolo 1, comma 169, L. 296/2006 e articolo 53, comma 16, L. 388/2000), i Comuni approvano le tariffe e i regolamenti della Tari e della tariffa corrispettiva, sulla base del piano economico finanziario del servizio di gestione dei rifiuti, entro il 30 giugno 2021.
A tal proposito si ricorda che in base alle richiamate disposizioni:
- gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione;
- per il 2021, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione da parte degli enti locali è fissato al 30 aprile 2021.
Ne consegue che per effetto di quanto previsto dal Decreto Sostegni, il termine di approvazione dei provvedimenti di competenza delle Amministrazioni comunali connessi al servizio rifiuti risulta non coincidente con il termine di approvazione dei bilanci di previsione. In altri termini, per il 2021 si consente ai Comuni di provvedere alle deliberazioni in materia di Tari e tariffa corrispettiva entro i due mesi successivi al termine per l’approvazione del bilancio di previsione.
Lo stesso comma 5, dell’articolo 30 del Decreto Sostegni, inoltre, prevede che:
- lo slittamento al 30 giugno 2021 opera anche nelle ipotesi di esigenze di modifica a provvedimenti già deliberati;
- in caso di approvazione dei provvedimenti relativi alla Tari o alla tariffa corrispettiva in data successiva all’approvazione del proprio bilancio di previsione, il comune provvede ad effettuare le conseguenti modifiche al bilancio di previsione in occasione della prima variazione utile;
- la scelta delle utenze non domestiche che producono rifiuti urbani e che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico, e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi, deve essere comunicata al Comune, o al Gestore del servizio rifiuti in caso di tariffa corrispettiva, entro il 31 maggio di ciascun anno (si ricorda che tali utenze, secondo quanto stabilito dall’articolo 3, comma 12, Lgs. 116/2020, in presenza delle condizioni espressamente richieste, sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell’utenza non domestica, di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale).