Deducibile l’ammortamento del cespite temporaneamente non utilizzato
di Fabio LanduzziUn’interessante ordinanza della Corte di Cassazione (n. 10902/2019) aiuta a fare chiarezza sulla questione della deducibilità delle quote di ammortamento dei beni strumentali imputate nel bilancio d’esercizio, in rapporto al principio di inerenza fiscale dei componenti negativi di reddito.
La fattispecie prende spunto da un accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ad una società la non deducibilità fiscale dell’ammortamento imputato al conto economico di un esercizio e calcolato con riguardo ad un bene strumentale che, essendo stato oggetto nell’esercizio accertato di un provvedimento di sequestro giudiziario, secondo l’assunzione compiuta dai verificatori, non avrebbe concorso alla formazione dei ricavi di quel periodo d’imposta venendo così a difettare del requisito di inerenza di cui all’articolo 109, comma 5, Tuir.
Seppure il caso si riferisca ad un periodo d’imposta (il 2005) in cui non vigeva in materia fiscale il principio di derivazione rafforzata, le motivazioni sviluppate nell’ordinanza in commento sono molto interessanti e chiare.
Partiamo dal constatare che, sotto il profilo civilistico, non vi è dubbio che l’ammortamento del cespite debba essere effettuato anche per il periodo in cui è temporaneamente non utilizzato (par. 57, Oic 16); pertanto, il comportamento contabile della società deve ritenersi correttamente improntato ai precetti civilistici.
La Cassazione sgombra perciò da subito il campo sull’equivoco riferito ad una fattispecie del tutto diversa, che aveva formato oggetto della sentenza n. 13807/2014, in cui la deducibilità fiscale dell’ammortamento era stata negata per via del fatto che l’imputazione era avvenuta nel periodo d’imposta successivo a quello in cui l’attività dell’impresa era cessata in conseguenza della vendita dell’azienda; una circostanza, quindi, del tutto diversa da quella del temporaneo inutilizzo del cespite.
Molto interessante è poi il chiarimento che viene fornito in ordine al rapporto fra l’imputazione della quota di ammortamento e il principio di inerenza fiscale.
I Giudici fanno propria l’interpretazione più recente circa il contenuto del principio di inerenza (v. Cassazione n. 13588/2018) la quale deve essere riferita al generale oggetto dell’attività dell’impresa, mentre “non integra un nesso di tipo utilitaristico tra costo e ricavo, bensì una correlazione tra costo e attività di impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile”.
Declinato questo principio al caso dell’ammortamento ne deriva allora che il costo del bene strumentale, ammortizzabile in ciascun periodo d’imposta nel corso della sua vita utile, “è senz’altro inerente” per via della sua “intrinseca potenzialità produttiva” e lo è anche quando per via di un fatto fortuito ne viene “temporaneamente impedito l’utilizzo”.
Quindi, afferma la Cassazione, va escluso che “il concetto di inerenza sia la chiave di volta dell’intero ragionamento”.
Risolto il rapporto con il principio di inerenza, si ritorna quindi alla derivazione civilistica del reddito d’impresa imponibile (oggi, “derivazione rafforzata”).
Ebbene, la Cassazione riconosce che proprio la determinazione civilistica del reddito rappresenta la migliore approssimazione della manifestazione di capacità contributiva del soggetto, tanto che l’ordinamento dispone che l’imponibile fiscale é determinato apportando al risultato economico solamente le variazioni prescritte dalle norme fiscali; e nessuna norma fiscale prescrive che l’interruzione temporanea dell’impiego del cespite renda non deducibile l’ammortamento calcolato secondo corretti precetti contabili.
Ciò è tanto vero che, riconosce la stessa Cassazione, al contribuente è impedito di procedere discrezionalmente alla rideterminazione fiscale delle quote di ammortamento, se non in forza dei limiti disposti dai coefficienti di cui al D.M. 31.12.1988.
Si conclude quindi per la piena legittimità della deduzione dell’ammortamento calcolato sul bene strumentale soggetto a temporaneo inutilizzo in forza di un sopraggiunto fatto, peraltro non dipendente dalla volontà dell’impresa.