Deducibili i contributi accertati per anni pregressi
di Fabio LanduzziNella risposta all’istanza di interpello n. 102/2018 l’Agenzia delle Entrate ha affrontato una vicenda che accade abbastanza di frequente nella pratica professionale.
Una società è stata oggetto di notifica di un verbale unico di accertamento e notificazione conseguente ad una verifica dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail con cui le sono state contestate varie violazioni (la riqualificazione di contratti di appalto in somministrazione di manodopera e il disconoscimento degli importi erogati ai dipendenti quali rimborsi a pié di lista e per trasferte, non inclusi nella base imponibile fiscale e contributiva del lavoratore dipendente, ma in assenza di adeguata documentazione di supporto).
Per effetto di tale verbale di accertamento sono state richieste in pagamento alla società, per diverse annualità pregresse, somme a titolo di contributi previdenziali e premi assicurativi Inail, oltre a sanzioni ed interessi.
La società ha quindi impugnato l’atto nelle sedi competenti ma, poiché sulla base della disamina compiuta con i propri consulenti ritiene che, quantomeno in parte, le contestazioni eccepite abbiano un fondamento, ha giudicato quale scenario maggiormente plausibile una definizione della pendenza mediante il riconoscimento di una somma pari al 50% di quanto richiesto dagli enti accertatori.
In virtù di tale ragionevole prospettazione la società ha perciò rilevato nel conto economico dell’anno corrente un onere corrispondente a tale quota del 50% dell’accertato, e perciò si domanda se tale importo – limitatamente alla parte corrispondente a contributi previdenziali e premi assicurativi – sia deducibile ai fini delle imposte sul reddito.
L’incertezza circa la rilevanza fiscale di tale onere deriva essenzialmente da due aspetti: il primo, relativo alla competenza economica, in quanto trattasi di costo che sarebbe stato evidentemente di competenza di periodi d’imposta pregressi; il secondo, relativo alla certezza del componente negativo in oggetto, in quanto il verbale, come detto, è oggetto di impugnazione e l’importo rilevato nel conto economico corrisponde ad una stima del quantum che l’impresa ritiene sia plausibile dover corrispondere per la definizione della pendenza.
Ebbene, proprio su questo secondo fronte – quello della quantificazione del costo imputato nel conto economico dell’esercizio – si deve osservare una riserva formulata dall’Amministrazione Finanziaria nella Risposta, laddove si precisa che la Risposta stessa viene fornita nel presupposto che le argomentazioni addotte dall’istante a sostegno dell’esito parzialmente positivo dei ricorsi siano “corrispondenti alla realtà dei fatti”; a tale riguardo precisa l’Amministrazione che “qualora in sede di controllo emergano fatti e circostanze idonee a confutare lo scenario previsto, la relativa quota di componente negativo non potrà concorrere alla formazione del reddito imponibile, poiché risulterebbe violato il principio di competenza”.
Questa riserva, seppure astrattamente comprensibile, desta qualche perplessità sotto il profilo tecnico poiché non si comprende in quali termini pratici essa possa potersi concretizzare.
Ovvero, è chiaro che se i ricorsi sono pendenti, la quota del 50% rilevata dall’impresa nel conto economico non può che rappresentare una stima tecnica, determinata con il conforto del riscontro dei consulenti legali della società, suscettibile perciò di essere fisiologicamente modificata per via della naturale alea del procedimento.
Perciò, in pratica, ci si domanda quali potrebbero essere le circostanze “idonee a confutare lo scenario previsto” che renderebbero, a giudizio dell’Amministrazione, non deducibile la somma rilevata al conto economico dell’esercizio.
Venendo poi al tema della deducibilità di quanto imputato al conto economico, l’Agenzia esclude che alle somme in oggetto – trattandosi di contributi previdenziali e premi assicurativi – possa applicarsi in via analogica la disposizione di cui all’articolo 99 Tuir, la quale si riferisce esclusivamente al caso delle imposte.
Tuttavia, richiamando il principio di derivazione rafforzata, l’Amministrazione riconosce che la qualificazione e l’imputazione temporale adottate dalla società ai fini della redazione del bilancio d’esercizio debbano trovare riconoscimento fiscale, con ciò concludendo in senso favorevole alla deduzione di quanto imputato dalla società al conto economico dell’esercizio (seppure richiamando la riserva di cui sopra).
Un’ultima precisazione contenuta nella Risposta desta qualche ulteriore perplessità.
L’Amministrazione, infatti, sottolinea che, in linea di principio, la società avrebbe dovuto probabilmente rilevare nel bilancio anche l’ulteriore onere (ossia, il restante 50%) ma che tale circostanza non avrebbe obiettivamente avuto alcun riflesso fiscale poiché si sarebbe trattato di un accantonamento non deducibile nell’esercizio ai sensi dell’art. 107, comma 4, Tuir.
Probabilmente, qui viene data rilevanza alla “classificazione” di bilancio adottata dalla società; ovvero, il 50% rilevato come onere a conto economico sarebbe riconosciuto deducibile in base al principio di derivazione rafforzata, mentre, ove la società avesse rilevato l’ulteriore 50% come espressione del rischio di esito negativo dei ricorsi, tale quota avrebbe avuto natura civilistica di accantonamento e, come tale, non deducibile fiscalmente nell’immediato.