7 Giugno 2023

Deducibili “per competenza” i compensi ad amministratori reversibili a una consociata UE

di Fabrizio RicciGianluca Cristofori
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La scheda di FISCOPRATICO

I compensi per l’attività di componente del consiglio di amministrazione riconosciuti al dipendente di una consociata estera, ma erogati direttamente a quest’ultima, in virtù dell’obbligo contrattuale di riversamento gravante sul dipendente, sono deducibili in capo alla società erogante secondo il criterio di competenza.

In tale circostanza, infatti, non si rende applicabile, ai fini della deducibilità, il criterio di cassa generalmente previsto dall’articolo 95, comma 5, Tuir per i compensi spettanti agli amministratori.

A queste conclusioni è giunta l’Amministrazione finanziaria nella recente risposta all’istanza di interpello n. 330 del 22.05.2023.

In particolare, nella risposta, è stato preliminarmente confermato che i compensi reversibili non concorrono alla formazione del reddito del soggetto su cui grava l’obbligo di riversamento poiché, in capo allo stesso, non si configura il presupposto impositivo di cui all’articolo 1 Tuir, ovverosia il possesso del reddito.

Su tale principio, infatti, si fondano le esclusioni di cui agli articoli 50 comma 1, lett. b), e 51, comma 2, lett. e), Tuir, a norma dei quali, rispettivamente, “Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente: […] le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge debbono essere riversati allo Stato;” e “Non concorrono a formare il reddito: […] e) i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell’articolo 47 [50, n.d.r.]”.

Ciò detto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come la società erogante “[…] debba considerare deducibile secondo il criterio generale di competenza l’importo pagato alla consociata UE per l’attività di direzione svolta” dal dipendente di quest’ultima, venendo meno – in casi come questo (come pure, si ritiene, nel caso in cui l’ufficio di amministratore fosse ricoperto da una società commerciale) – quell’esigenza di simmetria (informata a ragioni di carattere latamente antielusivo) tra il criterio di cassa, secondo il quale i compensi spettanti agli amministratori concorrono alla formazione del reddito dei percipienti persone fisiche, e quello analogamente previsto, in deroga al generale criterio di competenza, dall’articolo 95, comma 5, Tuir, ai fini della deducibilità in capo alla società amministrata.

Nella recente pronuncia viene altresì osservato che, “[…] ai fini convenzionali, il pagamento in parola deve essere correttamente inquadrato nell’ambito dell’articolo 7 della Convenzione, come reddito d’impresa, atteso che il pagamento, pur formalmente riferibile al lavoro prestato dal consigliere di amministrazione, è effettuato direttamente tra le due società consociate senza alcun riversamento da parte del dipendente a favore del proprio datore di lavoro. Ciò comporta, ai fini convenzionali e nel presupposto, dichiarato dalla società istante e non verificabile in sede di interpello, che la consociata UE non abbia una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, che i compensi erogati da ALFA alla società UE siano qualificabili come reddito d’impresa in capo a quest’ultima e tassabili esclusivamente nel suo Stato di residenza e, simmetricamente, siano costi deducibili in capo alla società istante, secondo il criterio generale di competenza di cui all’art. 109 del Tuir. Pertanto, non può applicarsi l’articolo 16 della citata Convenzione, che prevede una potestà impositiva concorrente per le retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve come membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente nell’altro Stato contraente. Nel caso in esame, in effetti, il pagamento è effettuato direttamente alla consociata e non al dipendente”.

Alla non imponibilità di tali compensi nel territorio dello Stato – per effetto delle disposizioni convenzionali di cui all’articolo 7, nonché per effetto delle disposizioni domestiche, di cui all’articolo 23, comma 1, lett. c), del Tuir – consegue quindi anche l’insussistenza dell’obbligo, in capo alla società erogante, di effettuare la ritenuta a titolo d’imposta di cui all’articolo 24, comma 1-ter, D.P.R. 600/1973.

In merito alla qualificazione dei compensi reversibili ai fini convenzionali, occorre osservare che, nella risposta all’istanza di interpello n. 167 del 28.05.2019, l’Amministrazione finanziaria aveva ricondotto tali emolumenti nell’ambito di applicazione dell’articolo 16 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, avente per oggetto compensi e i gettoni di presenza”, il quale – in linea generale – prevede la tassazione concorrente tra Stato della fonte e Stato di residenza.

Il caso trattato nella citata risposta n. 167/2019, tuttavia, è “speculare” rispetto a quello descritto nella più recente risposta n. 330/2023; concerneva, infatti, il trattamento di compensi reversibili erogati da una società spagnola a un dipendente della società controllante Italiana, il quale, in virtù di un obbligo contenuto nel proprio contratto di lavoro, aveva provveduto a riversarli al proprio datore di lavoro italiano.

Nel caso di specie, inoltre, il compenso da riversare era stato accreditato su un apposito conto corrente intestato al dipendente, anziché direttamente alla società controllante (come avvenuto, invece, nella risposta n. 330/2023), in forza di una particolare previsione dell’ordinamento spagnolo, che impone di corrispondere il compenso esclusivamente mediante accredito su un conto corrente intestato al lavoratore/amministratore.

Alla luce di ciò, all’atto dell’erogazione la società spagnola aveva operato una ritenuta in misura pari al 19% del compenso lordo, come previsto dall’ordinamento tributario spagnolo con riguardo ai compensi erogati a soggetti non residenti.

In quell’occasione, come detto, essendo stati ricondotti tali compensi nell’ambito di applicazione della disposizione convenzionale che tratta dei compensi e gettoni di presenza, prevedendo una tassazione concorrente tra gli Stati contraenti, la ritenuta operata dalla società spagnola era stata considerata conforme alle disposizioni convenzionali e, pertanto, anche detraibile dall’imposta lorda dovuta dalla società italiana sul compenso riversato, secondo quanto previsto dall’articolo 165 Tuir.

Diversamente, la fruizione del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, probabilmente, non sarebbe stata concessa se, come accaduto nella risposta n. 330/2023, il compenso reversibile fosse stato inquadrato, ai fini convenzionali, quale reddito d’impresa, imponibile – in linea generale – solo nello stato di residenza del percettore (in assenza di stabile organizzazione), di talché la ritenuta operata dalla società spagnola non sarebbe stata conforme alle disposizioni convenzionali.

Mettendo a confronto le due citate risposte, non è chiaro se l’Amministrazione finanziaria abbia mutato il proprio orientamento, ovvero abbia conferito rilevanza dirimente, ai fini della qualificazione dei compensi agli effetti della convenzione contro le doppie imposizioni, alla circostanza che, in un caso, il compenso era stato erogato al dipendente, per obbligo di legge (spagnola), il quale aveva poi provveduto a riversarlo alla società datrice di lavoro italiana, mentre, nell’altro caso, oggetto della più recente risposta, il compenso è stato erogato direttamente alla consociata estera datrice di lavoro.